Christophe Pierre, nunzio apostolico negli Stati Uniti

Christophe Pierre: «La nuova occasione per la Chiesa americana»

Pubblichiamo il messaggio di monsignor Christophe Pierre, nunzio apostolico negli Stati Uniti, a conclusione dell'assemblea dei leader cattolici "The Joy of the Gospel in America” che si è tenuta ad Orlando, in Florida, fino al 4 luglio
Christophe Pierre

Siamo giunti alla conclusione di questa Assemblea dei leader cattolici. All’inizio di questo incontro, quale rappresentante del Santo Padre Francesco, vi ho portato i suoi saluti e la sua benedizione. Papa Francesco sogna una Chiesa che cammina unita, contrassegnata dall’onestà nella parola e dall’ascolto - del gregge, dei vescovi, del Santo Padre e, soprattutto, di ciò che lo Spirito ha da dire (Ap 2,7). Questa assemblea ha tutte le caratteristiche di ciò che per il Santo Padre «Dio si aspetta dalla Chiesa del terzo millennio». Ed è proprio il piano pastorale del Santo Padre nell’Evangelii Gaudium ciò che Dio si aspetta e, come ha detto recentemente un teologo: «Se non pensiamo che Francesco sia la cura è perché non capiamo la malattia».

Sì, noi vogliamo pensare con il Papa e col pensiero di Cristo. Desidero ringraziare i vescovi per aver organizzato questo evento, come pure tutti quelli che hanno contribuito al suo successo. Il Cardinal Wuerl ci ha ricordato che una caratteristica del discepolo evangelizzatore è la connessione con la Chiesa - con i vescovi qui in America e con il Papa. Questo è realmente un momento e un evento unico nella vita della Chiesa americana. Durante la Messa d’apertura, il cardinale Dolan ha descritto questo momento come “maturo”. Dobbiamo aggiungere che questo è un kairos (momento supremo) - un momento cattolico nuovo, un tempo privilegiato per il rinnovamento della missione dell’evangelizzazione in questa nazione. Abbiamo avuto l’opportunità di esercitare la sinodalità attraverso l’ascolto. Ma cosa abbiamo ascoltato?

Il convegno dei leader cattolici a Orlando, Florida

Abbiamo sentito che la missione deve essere svolta in un paesaggio che sta cambiando. Citando il documento di Aparecida, che il Papa cita nell’Evengelii Gaudium, l’arcivescovo Gomez ha detto che non viviamo più in «un’epoca di cambiamento, ma in un cambiamento d’epoca». I nostri tempi - e dobbiamo essere attenti ai «segni dei tempi» - sono contrassegnati da profondi mutamenti culturali: la riconfigurazione della vita e dei ruoli della famiglia; l’erosione della vita comune e una spinta sempre più forte verso l’individualismo; il declino di un dialogo rispettoso e la crescita di guerre ideologiche e culturali; una crescente secolarizzazione documentata da quasi il 25% degli americani che si qualificano come “non-religiosi” e venti milioni di cattolici, specialmente millennials, che si identificano in tal modo. Il panorama sta cambiando, con i migranti che giungono dal Sud del mondo verso gli Stati Uniti, specialmente negli stati del Sud e dell’Ovest, così come molte parrocchie del Nordest e del Midwest perdono popolazione e si accorpano.
Il panorama sta cambiando in seguito ai progressi delle tecnologie e dei trasporti, ma la globalizzazione non ha portato con sé una maggiore vicinanza tra i popoli. Stati Uniti sono una autentica terra di missione. È una sfida, ma non impossibile - «a Dio tutto è possibile» (cfr. Mt 19,26)

Non dobbiamo disperare, perché siamo chiamati a essere una Chiesa di discepoli in missione, una Chiesa che va avanti con la potenza di Gesù e dello Spirito Santo. In luogo di un disimpegno e di un ritirarsi dalle sfide culturali e spirituali, Dio ha dato alla Chiesa degli Stati Uniti una nuova occasione di essere suoi testimoni e di portare la gioia del Vangelo agli altri – di essere permanentemente in stato di missione. Come ha detto ieri il vescovo Lori, il Vangelo deve uscire, coinvolgendo la cultura con creatività e rispetto, purificandola, e nobilitandola con valori autenticamente umani. Dio e il Santo Padre ci chiamano a superare una Chiesa auto-referenziale - che cerca di controllare un lento declino, vivendo in “modalità di mantenimento” - per divenire una Chiesa che procede per presentare Gesù al mondo. Sì, il «cuore dell’uomo ha bisogno di qualcosa che solo Cristo può dare».

Per svolgere con autenticità questa missione, che è ciò che i “non-religiosi” cercano - come hanno detto i vescovi Caggiano, Carl Anderson e altri - dobbiamo lavorare sulla nostra sfera interiore, incontrando Cristo in prima persona e impegnandoci per una santità di vita. Occorre intraprendere una conversione personale e pastorale a Cristo.
Per noi, l’incontro con Cristo cambia tutto, e se cambia tutto per noi può cambiare tutto anche per i nostri fratelli e sorelle. Durante l’Adorazione, il cardinale O’Malley ha citato papa Benedetto XVI nella Deus caritas est:

«All’inizio dell’essere cristiano non c’è una decisione etica o una grande idea, bensì l’incontro con un avvenimento, con una Persona, che dà alla vita un nuovo orizzonte e con ciò la direzione decisiva» (Benedetto XVI, Lettera Enciclica Deus caritas est, 25 dicembre 2005,1)

La nostra identità cristiana è frutto di un incontro che dà un orientamento alla nostra vita. Tuttavia, ammonisce papa Francesco, il cristiano deve guardarsi dal compiacimento, dall’isolamento e dall’autosufficienza:

«La fede per sua natura non è centrata su se stessa, la fede tende ad "andare fuori". Cerca di farsi comprendere, fa nascere la testimonianza, genera la missione». (Discorso all'incontro con i Vescovi dell’Asia, 17 agosto 2014)

Ciò che può cambiare tutto nella Chiesa degli Stati Uniti è l’incontro personale con Gesù, di fronte al cui sguardo “si fonde ogni falsità” (Benedetto XVI, Lettera Enciclica Spe salvi, 47). Abbiamo sentito ripetutamente dire che la risposta è “Gesù”. Come discepoli missionari, non dovremmo temere di condividere ciò che Gesù ha fatto per noi e per tutta l’umanità e ciò che la Chiesa negli Stati Uniti ha fatto e continua a fare per chi vive nelle periferie.

Essere discepoli missionari implica - sia che siamo vescovi, sacerdoti, diaconi, religiosi, o laici - essere prima di tutto discepoli, che apprendono dal Maestro ed evangelizzano usando il «metodo plasmato dal Maestro». Come discepoli missionari, usciamo, verso le periferie, verso i “campi dei Samaritani” che sono maturi per raccogliere una messe abbondante per il Signore. Usciamo per diffondere la Buona Novella, non come “musoni” ma con gioia. «Quanto sono belli i piedi di coloro che recano un lieto annuncio di bene!» (Rm 10,15).

Usciamo verso le periferie – non solo le periferie geografiche, ma anche quelle esistenziali, verso coloro che sono stati feriti, che soffrono per l’isolamento, il peccato, le dipendenze e un’ostinata indifferenza, che soffrono per i frutti marci dell’abbandono, dello sfruttamento e dell’ingiustizia. Costoro devono sapere che vale la pena vivere, scoprire attraverso la nostra testimonianza la «tenerezza di Dio», «il Volto misericordioso del Padre», che ci ha mostrato attraverso il Suo Figlio prediletto, Gesù, che è la risposta alle domande e ai desideri più profondi del nostro cuore.

Usciamo dal nostro «ambiente sicuro» verso i luoghi «dove non vogliamo» andare (cfr. Gv 21,18). Usciamo, come il Buon Pastore, in cerca di chi è smarrito, dimenticato, emigrato, scartato, per riaffermare che essi contano per noi e per Dio! Ogni vita conta! I discepoli in missione sono i testimoni che vi è spazio nella famiglia di Dio per gente di ogni razza e nazione. Tale testimonianza comincia da noi stessi, dalla nostra famiglia, dalle nostre comunità e parrocchie, che sono essenzialmente missionarie e nelle quali possiamo sperimentare e condividere l’amore di Dio.

Usciamo, ma non da soli. Gesù ha inviato i suoi discepoli a due a due. «Dove sono due o tre riuniti nel mio nome, lì sono io in mezzo a loro» (Mt 18,20). Usciamo nella potenza del Santo Nome di Gesù, con baldanza - con audacia, come «figli della luce».
Usciamo nella potenza dello Spirito Santo, l’amore perfetto di Dio che allontana ogni paura, per portare conforto e guarigione a coloro che sono feriti. Noi, Chiesa, che agisce come “ospedale da campo” portiamo ai feriti il dono della misericordia e della pace, che il mondo non può dare. Lo Spirito Santo è il nostro compagno di viaggio, che ha trasformato i discepoli da prigionieri della paura in testimoni audaci e profetici, annunciatori della gioia del Vangelo, “che riempie i cuori di tutti coloro che credono” (cfr. EG, 1).

Una parola chiave del pontificato di papa Francesco, che emerge dall’Evangelii Gaudium, è “accompagnare”. Dio ci accompagna nella nostra missione e noi, la Chiesa, accompagniamo a nostra volta l’intera famiglia umana nel pellegrinaggio della fede. La scorsa sera, una giovane di nome Audrey ha cantato così: «Tu cammini con me. Non mi lasci mai. Stai facendo del mio cuore un giardino». Che accadrebbe se ognuno dicesse questo di Dio o della sua Chiesa? Come sarebbe diverso il paesaggio! Potrebbe essere un giardino – pieno di vita, ricco di frutti!

In questa assemblea abbiamo fatto l’esperienza di un viaggio insieme, per riscoprire e rafforzare i nostri legami reciproci nel corso di questo cammino della fede. Questa assemblea ha ridestato la nostra coscienza collettiva nei confronti della grave condizione dei poveri, dei perseguitati e di quanti stanno nelle periferie. Ora camminiamo insieme, uniti, rinnovati da questa assemblea, testimoni della potenza della preghiera di Gesù: «Che siano una sola cosa… perché il mondo creda» (Gv 17,21).

Come Nunzio Apostolico, io sono qui per ricordarvi che papa Francesco, il Successore di san Pietro, vi accompagna a sua volta! La nostra missione non è facile; è solo all’inizio. Nessuno ne è esentato. Non esiste la “disoccupazione vocazionale”, per dirla con Sherry Weddel! Tornerete alle vostre diocesi, parrocchie, ministeri e famiglie per continuare questo dialogo. Vi incoraggio a condividere ciò che avete udito e sperimentato. Questo è l’inizio di qualcosa di nuovo e bello - un momento kairos. Questo è il vostro momento! Condividete ciò che lo Spirito ha detto a voi e alla Chiesa, specialmente attraverso la testimonianza della vostra vita.
Come Nunzio Apostolico avrò anche il piacere di riportare al Santo Padre come lo Spirito sia vivo nella Chiesa degli Stati Uniti. Gli racconterò dell’impegno di molti discepoli missionari e del loro amore a Gesù. Gli riferirò che questa nazione - arricchita dalle sue diversità, benedetta con la libertà e che oggi celebra il suo anniversario – è piena di coraggiosi testimoni della gioia del Vangelo.
Affido tutti voi all’intercessione della Benedetta e Immacolata Vergine Maria, che apparve a Guadalupe - nelle periferie - per portare la gioia a un intero continente. Vi affido alla Stella della Nuova Evangelizzazione: imparando dal Suo esempio possiate essere gioiosi discepoli missionari. A tutti voi qui riuniti e alle vostre famiglie, il Santo Padre imparte la Sua benedizione apostolica, augurandovi pace e gioia nel cammino missionario su cui siete stati inviati.

Ma ho detto abbastanza! Vorrei concludere, non con le parole di un Papa, né di un vescovo, né di un teologo, ma con le parole di un ragazzino, il figlio di Julianne Stanz, che vedendo le persone in fila per ricevere la Comunione ha gridato: «Forza gente! Andiamo da Gesù!».