Cagliari, chiusa la Settimana Sociale dei Cattolici Italiani

A Cagliari il metodo si chiama "popolo"

Cala il sipario sulla Settima Sociale dei Cattolici Italiani. Quattro giorni di incontri, dialoghi, incroci di esperienze. Tra ecclesiastici, gente comune e istituzioni. Capitolo chiuso? Tutt'altro: è l'inizio di una strada...
Paolo Perego

Si è concluso ieri l’appuntamento di Cagliari. Eppure, i quattro giorni della Settimana Sociale dei Cattolici Italiani sul tema del lavoro danno davvero la percezione di essere una strada nuova che si apre. Come livello di proposte, intanto. Ma anche come metodo. Giornate piene, dense. Belle, come il sole della Sardegna che le ha accompagnate illuminando dialoghi e incontri.

Erano un migliaio, da tutta Italia. Professionisti impegnati con le loro diocesi, gestori di opere sociali, imprenditori, vescovi, parroci, sindacalisti. Giovani e meno giovani. Gente che si è ritrovata a condividere la vita, non solo le diverse esperienze. Che si è messa in gioco, cosciente - o scoprendo lì - di un cammino nella stessa direzione: «servire» il bene comune, come ha ricordato papa Francesco nel suo messaggio ai partecipanti indicando il ruolo della Chiesa, e nel «formare comunità in cui la comunione prevale sulla competizione». Ecco. Questa comunione è accaduta.

I tavoli di lavoro alla Settimana Sociale di Cagliari

Tanto che il tema del lavoro, «libero, solidale, creativo e partecipativo» come recitava il titolo del convegno, non poteva non allargarsi a quello della vita. La Chiesa «non è un’agenzia sociale che si occupa di lavoro come un qualsiasi ufficio di collocamento, ma che ha a cuore il lavoro, luogo dove la persona umana si fa collaboratrice di Dio nello “sviluppo della creazione”», ha ricordato il Presidente Cei, il cardinale Gualtiero Bassetti. Lo hanno mostrato da subito tre testimonianze, tre “volti” chiamati a raccontare di come la questione del lavoro non possa essere separata dall’uomo tutto intero, soprattutto quando ha a che fare con condizioni difficili o drammatiche.

Lorenzo, diciottenne brianzolo che, mentre studia, lavora in un mobilificio. Anna Cristina, con la cooperativa sociale cagliaritana per cui lavora, nata vent’anni fa in una parrocchia e oggi con 250 dipendenti «“precari”, perché dipendiamo sempre dalle gare d’appalto». E poi Stefano, che ha raccontato la sua battaglia, minacce comprese, contro il caporalato che gli ha ucciso la moglie Paola, morta di fatica per pochi soldi a 49 anni, tra le vigne pugliesi.

Monsignor Filippo Santoro

Ma non è stato diverso in nessuno degli altri momenti della kermesse. Dalla mostra sul “Lavoro che non vogliamo”, preparata dalla Fondazione per la Sussidiarietà, piena di dati e storie di un mondo in profonda crisi da anni, agli interventi di esperti e alle tavole rotonde. Un dialogo con il cardinale Peter Turkson, prefetto del Dicastero per il Servizio dello sviluppo umano integrale («nel lavoro l’uomo realizza la sua dignità. E il lavoro non è soltanto ciò che l’uomo fa, ma ciò che l’uomo diventa lavorando»). Ancora, gli interventi di due membri del comitato organizzatore, Leonardo Becchetti, con la presentazione del progetto “Cercatori di LavOro”, censimento di 400 buone pratiche in 82 diocesi italiane, e di Mauro Magatti, sociologo della Cattolica di Milano.

Tutti spunti di riflessione che hanno dato vita a momenti di incontro, come i tavoli di lavoro tematici divisi in piccoli gruppi. Così, al tavolo B4 ci si trova a discutere sul ruolo delle imprese e su cosa voglia dire creare occupazione. Roberto, rappresentante di una banca etica, guida la discussione. Claudia, di Bari, porta l’esperienza delle reti di imprese. Fabio, giovane imprenditore molisano, recupera il tema della formazione e della conoscenza dei territori. Don Luigi fa il parroco in Umbria e rimette l’accento sulla conoscenza di sé, perché «Gesù è verbo, ancora prima che dialogo. E perché noi siamo già “buono”, il nostro desiderio è buono». E c’è il tema della legalità, per Davide, a Cagliari con l’associazione Libera, mentre per Pier Federico, avvocato di Fano “prestato” alla sua diocesi, il punto chiave è l’umanizzazione del lavoro. Si compilano i fogli per i report, ci si conosce. Diversi, eppure tutti insieme in cammino. Il tavolo B4, come il C23, o l’A14… Novanta in tutto, da cui sintetizzare idee e proposte da portare alle istituzioni.

Esperienze che si incrociano. Anche nelle pause o a pranzo. E durante le “gite” del venerdì pomeriggio, con visite a gruppi in diverse realtà lavorative locali, come una cantina sociale a Dolianova, venti chilometri da Cagliari, o una cooperativa che gestisce i servizi e le visite a un millenario “nuraghe” vicino a Oristano. Una decina in totale le “buone pratiche” imprenditoriali scelte per vedere e toccare con mano che «è davvero possibile, che già c’è il lavoro che vogliamo», come aveva detto monsignor Filippo Santoro, arcivescovo di Taranto e presidente del Comitato delle Settimane Sociali, introducendo la settimana.

Il premier Paolo Gentiloni

È in un contesto di questo tipo che arrivano le istituzioni. Su tutti, tra ministri, parlamentari e sindaci ospiti, il presidente del Consiglio, Paolo Gentiloni, nel pomeriggio di sabato, e il suo omologo al Parlamento Europeo, Antonio Tajani, domenica. «Vogliamo stabilire un dialogo: non vogliamo fare soltanto una forte denuncia, dei lamenti, ma vogliamo formulare proposte», ha detto Santoro accogliendo il Premier italiano, formulando quattro punti di riflessione sintetizzati dai lavori di Cagliari: il rapporto tra formazione e lavoro; criteri nuovi per l’accesso ai risparmi dei piccoli investitori derivanti dai Pir, da aprirsi anche alle imprese sociali; un sistema diverso di appalti che non guardi solo al ribasso dei costi; una revisione delle aliquote Iva per certi tipi di imprese e realtà. «In Italia abbiamo la possibilità di una ripresa con lavoro», ha risposto Gentiloni: «Senza lavoro i valori fondamentali che sono alla base della nostra società fanno fatica a resistere: dignità, famiglia, comunità. È fondamentale rimettere al centro il lavoro e vi ringrazio di averlo fatto».

Tre proposte anche per l’Europa, portate a Tajani: eliminazione dei paradisi fiscali all’interno dell’Unione; maggiori investimenti infrastrutturali e produttivi; l’inserimento del parametro occupazionale, oltre all’inflazione, da parte della Bce nell’orientare le politiche economiche comunitarie. Tajani ascolta e replica citando il Papa che ha incontrato il giorno prima: «“Il modo migliore per dialogare è fare qualcosa insieme, costruire insieme, fare progetti insieme a tutti coloro che hanno buona volontà”. Queste poche parole racchiudono l’essenza della costruzione europea: un progetto di uomini e donne, un sogno di libertà, prosperità e pace che si realizza, per il quale dobbiamo continuare a lavorare insieme».

Il presidente Cei, cardinale Gualtiero Bassetti, e monsignor Filippo Santoro con il presidente del Parlamento europeo, Antonio Tajani.

A Cagliari si è visto «muoversi un Popolo come soggetto», ha concluso così monsignor Santoro. Un cuore vivo, attraverso cui passa la speranza per il futuro: «Il metodo sinodale è già in sé un vero contenuto», ha detto ancora Santoro, guardando all’«unità operativa» di tante realtà diverse per forma e ispirazione che si sono incontrate a Cagliari: «Abbiamo arato il terreno, individuato semi di vita che hanno bisogno di essere sviluppati per germogliare e dar frutto. E diventare “lievito sociale”». Occorre un popolo che raccolga «la sfida della realtà» e che «che possa incidere sulla politica nella prospettiva di una conversione culturale e di una rinnovata presenza dei cattolici nella società».