Festa dopo le ordinazioni della Fraternità San Carlo

Il dialogo tra Dio e l'uomo. Il mistero della vocazione

Sabato 23 giugno, monsignor Angelo De Donatis ordinerà cinque sacerdoti e due diaconi della Fraternità San Carlo. A ottobre, il Sinodo sui giovani e il discernimento vocazionale. Ne abbiamo parlato col Rettore del seminario, don Francesco Ferrari
Paola Ronconi

Quest’anno sono cinque e saranno ordinati sacerdoti domani, 23 giugno, da monsignor Angelo De Donatis, vicario generale di Sua Santità per la diocesi di Roma, il quale una settimana dopo, il 29, sarà creato cardinale da Papa Francesco. Cinque nuovi sacerdoti appartenenti alla Fraternità San Carlo: il colombiano Antonio Acevedo, che partirà per Taipei, Michele Baggi di Fogliano Redipuglia (Gorizia), destinato a Budapest, Emanuele Fadini di Calcinate (Bergamo), in partenza per Broomfield (Stati Uniti), Luca Montini di Lumezzane (Brescia), chiamato in Kenya e Patrick Valena, originario di Delebio (Sondrio), che andrà a colaborare con il monsignor Massimo Camisasca a Reggio Emilia. Insieme a loro, saranno ordinati diaconi Marek Mikulastik della Repubblica Ceca, e Francesco Montini, bresciano di Rodengo Saiano.
«Dura almeno sette anni il cammino verso il sacerdozio», dice don Francesco Ferrari, rettore del seminario di via Boccea a Roma, dove accompagna i giovani affinché «maturi l’incontro con Cristo, si impari una familiarità con Lui», fino alla decisione di una vocazione.

Don Francesco, recentemente è stato pubblicato l’Instrumentum Laboris, documento su cui i Padri sinodali dovranno lavorare per il prossimo Sinodo di ottobre su “I giovani, la fede e il discernimento vocazionale”. Qui si indicano le tappe, “riconoscere, interpretare e scegliere”, che ogni ragazzo deve percorrere se vuol essere serio con la sua vocazione. Cosa vuol dire per te?
Il Papa parla di riconoscere ciò che accade nella propria vita, di interpretare questi avvenimenti, di capire che cosa mi chiedono, e di scegliere, cioè di prendere una posizione. Si tratta di scorgere l’opera di Dio, per poter aderire a lui. La vocazione è il mistero immenso di questo dialogo tra Dio e l’uomo. Io sono chiamato a custodire e a far crescere il seme della vocazione che c’è in chi entra da noi.

E come?
Il primo modo è pregare. La vocazione è qualcosa di sacro, e accompagnare delle persone in questo aspetto fondamentale della vita non può essere una tecnica o un’abilità personale. Noi non sappiamo cosa Dio vuol fare nella loro vita. È un’umiltà che cerchiamo di non perdere. L’aiuto più grande a mantenere questa umiltà indispensabile è la comunione con Giovanni, Michael, con cui condivido la responsabilità del seminario, e Paolo, superiore della Fraternità. Mi ricordano che non sono io il protagonista della vita degli altri.
Un modo concreto poi per accompagnarli è proporre loro una vita insieme: accoglierli in una casa, fatta di orari, di vita comune, di compiti... offrire loro una proposta chiara di cammino, dove ognuno può verificare se la propria vita fiorisce e diventa più vera. Poi è necessario imparare ad ascoltarli. Mi ricordo i primi colloqui con don Massimo Camisasca (fondatore della Fraternità San Carlo, oggi Vescovo di Reggio Emilia-Guastalla, ndr), quando ero seminarista. Dopo avermi ascoltato mi rispondeva spesso con poche parole. All’inizio non capivo perché. Poi ho scoperto che esprimeva un grande rispetto per la mia vita. A volte c’è la tentazione di sovrapporsi al cammino dei seminaristi, magari per togliere loro una fatica e farli camminare più in fretta. Mentre i passi del cammino rimangono passi personali, anche se vissuti insieme. Il nostro compito è servire l’iniziativa di Dio nella loro vita, che è sempre un’iniziativa misteriosa, incontro di due libertà.

Che ruolo ha il discernimento?
È una parte importante del nostro compito. Noi cerchiamo di viverlo per quello che esso è: un servizio alla libertà e alla felicità della persona. Aiutare un ragazzo a capire se la sua vocazione è al sacerdozio o ad altro è un aiuto perché lui possa liberamente rispondere a Dio. E la felicità della vita non è nel fare il prete o nel non farlo, ma nel fare quello che ha pensato Dio.
Accompagnare i ragazzi nella vocazione è un’esperienza affascinante e vertiginosa, che a volte mi riempie di timore e gratitudine. È l’occasione per stare vicino a Dio che opera nella vita di un altro. È entrare in un territorio santo, in cui si può stare solo in ginocchio.

Don Francesco Ferrari, secondo da destra

Quali sono le difficoltà maggiori che hanno oggi i giovani per comprendere la loro vocazione?
Direi che le difficoltà più grandi nascono dalla paura e dalla solitudine. La paura di sbagliare, di fallire, di non essere adeguato... per cui si fa fatica ad aderire con semplicità e coraggio a quei segni che il Signore sempre pone sul cammino di ognuno. Una domanda - non molto utile - che si sente spesso è: e se poi scopro che mi sono sbagliato? Ma il rischio dello sbaglio non può diventare il criterio per decidere della propria vita. L’altra grande fonte di fatica è la solitudine. Mi è capitato spesso di incontrare ragazzi che hanno portato da soli, magari per anni, la domanda sulla vocazione. Se guardo alla mia vita, ricordo la persona a cui per la prima volta ho affidato il desiderio della verginità. È stato come scoprire insieme un regalo bellissimo, un regalo fatto a me. Le strade per uscire da queste difficoltà, secondo me, sono l’amicizia e la figliolanza. La vocazione non è innanzitutto una forma (fare il prete o sposarsi), ma la chiamata a vivere oggi la vita per Cristo, dentro la sua Chiesa. È in quest’amicizia che posso fare la scoperta più importante della vita: sono figlio, figlio di un Padre buono che ha preparato per me il bene. La vocazione è il dialogo con questo Padre, dialogo che abbraccia tutta la mia vita. È una scoperta decisiva, che toglie la paura e vince la solitudine, ma è una scoperta impossibile senza l’incontro con dei padri, testimoni nella nostra vita della grande paternità di Dio.

Per monsignor Camisasca i cardini fondamentali del cammino educativo proposto nel vostro seminario sono la libertà, l’autorità e l’amicizia.
Quando sono entrato in seminario una delle prime cose che mi ha colpito è stata proprio la libertà. La proposta di vita in seminario era molto chiara e precisa. Era chiaro il ruolo dell’autorità e il cammino radicale che proponeva. Per questo, credo, è stata una grande esperienza di libertà. Mi sono sentito libero perché potevo dare la mia vita per un ideale grande, per una promessa totalizzante. La libertà, ci ha insegnato Giussani, è la capacità aderire a quello che compie la nostra vita. Coinvolgersi con questo ideale è stata l’origine di grandi e vere amicizie, anche con i superiori, perché l’amicizia più grande è proprio aiutarsi a camminare verso il Destino.

Si può essere contemporaneamente autorevole e amico?
Non so se sono autorevole, speriamo. Senz’altro essere autorevoli significa offrire ai seminaristi una proposta di vita radicale come l’ho ricevuta io. Anzi, la stessa che ho ricevuto io. In fondo non è altro che essere fedele alla vita della Fraternità, del movimento, della Chiesa. Offrire loro di camminare insieme, senza sconti e senza paure. La vita cristiana è la vita più bella che possa esistere, ma la si scopre solo rischiando tutto su di essa. Penso che l’amicizia, che in effetti nasce facilmente tra di noi, sia proprio il frutto di questo camminare insieme, senza confusione di ruoli o di compiti, ma dentro lo stesso sentiero.

Giovani del Seminario di via Boccea, a Roma

«Accompagnare un seminarista nella verifica della vocazione non si esaurisce quando lui “ha scelto”…», si legge al n. 111 dell’Instrumentum Laboris.
Il cammino con loro non riguarda solo il momento iniziale della scelta, ma tutta la vita, proprio perché la vocazione è il dialogo incessante con Dio. Quando un ragazzo scopre che la vocazione non è solo la scelta di una forma, ma il rapporto permanente con Dio che mi interpella, che mi chiama ad un compito nel suo Disegno, allora la vita acquista un gusto infinito. Ogni istante, ogni prova, ogni incontro, tutto è pieno di significato, perché parte del grande dialogo. L’alternativa è che la vita sia solo un monologo, il mio, e la realtà sia in fondo muta, vuota, e non segno di un Altro. In questo senso, penso, il Papa parla di un discernimento che non termina mai, perché il dialogo con il Padre non ha mai fine.

Al n. 133, si dice che «l’accompagnamento [vocazionale] si impara innanzi tutto accettando di essere accompagnati». Cosa vuol dire per te?
Il significato è chiarissimo e decisivo: non potrei accompagnare nessuno se non fossi io a mia volta accompagnato nel cammino della vita. Giussani aveva detto una cosa simile: «Nessuno genera se non è generato». Nell’esperienza di questi anni questo accompagnamento ha avuto per me il volto del movimento e di coloro con cui vivo. Paolo, Lele, Mimmo, Giovanni, Michael, Francesco, Andrea. L’amicizia con loro è stato il fuoco che ha tenuto sempre acceso il mio personale dialogo con Dio, senza del quale il compito in seminario si ridurrebbe subito a burocrazia o, peggio, a potere. Accompagnare una persona non è una tecnica, ma è l’avventura - e il rischio - di camminare con lui verso il Destino, e questa avventura la si può vivere solo se si ha una casa da cui partire.

La Fraternità San Carlo ha come scopo la missione. Come si colloca, nel tuo essere sacerdote, l’incarico che hai?
Ho accolto questa richiesta con un po’ di fatica e con letizia, sicuramente anche con un po’ di ingenuità. All’inizio ho dovuto lottare con una certa idea di me che sembrava venir meno, un Francesco missionario, sacerdote in mezzo alla gente... Poi, soprattutto grazie all’aiuto dei miei fratelli e alla bellezza del compito che mi è affidato, ho riscoperto un desiderio più profondo, più radicale anche del desiderio di essere missionario: il desiderio di essere di Cristo. Di seguire Lui e non me stesso. Allora guardo oggi questo compito come una grazia: la grazia di obbedire a Dio e trovare in questo una grande pace, la grazia di servire il suo Regno servendo la Fraternità, la grazia di poter accompagnare i fratelli in quel mistero bellissimo che è la vocazione.
Poi, se un giorno per obbedienza dovessi ripartire per la missione... non penso che mi opporrò!