Eugenio Corecco. «Il tempo si fa breve»
A venticinque anni dalla morte, esce la biografia del Vescovo di Lugano. L'incontro con don Giussani, la passione per il movimento e per la Chiesa. Ne abbiamo parlato con l'autrice Antonietta Moretti«Su ogni istante grava il peso dell’eterno», scriveva Ada Negri. E in questa breve frase c’è forse tutta l’essenza della vita di monsignor Eugenio Corecco, figura di rara umanità e vitalità alla quale si deve, tra le altre cose, l’inizio dell’avventura di Comunione e Liberazione in Svizzera, negli anni Sessanta.
Teologo, vescovo di Lugano, intimo amico di Giovanni Paolo II, don Luigi Giussani, ed anche onorato della stima di Joseph Ratzinger, nella sua breve vita ha dato testimonianza alla Chiesa e ai suoi amici di una gioia e una letizia che lo rendevano capace di andare a fondo di tutto: amicizie, studi di diritto canonico, pastorale, teologia, compagnia ai giovani.
Nel gennaio del 1994, don Giussani si reca a Lugano per salutarlo: Corecco è gravemente malato già da due anni, sa che il suo male è ripreso e forse è una delle ultime volte che vedrà l’amico. Con la voce rotta dall’emozione, il Vescovo sussurra al’amico: «Il tempo si fa breve». Ma, noterà don Giussani tempo dopo, il suo volto era lieto. Quell’anno gli Esercizi della Fraternità di CL avranno proprio come titolo “Il tempo si fa breve”, a sottolineare l’urgenza di non sprecare il tempo e di offrirlo, anzi, nell’unico compito al quale ciascuno è chiamato: amare Dio e lasciarsi amare da Lui.
A questa figura straordinaria e ancora poco conosciuta è dedicata la biografia Eugenio Corecco. La grazia di una vita (Cantagalli - EU Press FTL, 2020) scritta dalla storica Antonietta Moretti, con la prefazione del cardinale Angelo Scola, che del vescovo Corecco fu grande amico, e che sarà presentata questa sera, 25 marzo, alle 18.30 sul canale Youtube del Centro culturale della Svizzera italiana.
Nel 1966 don Eugenio Corecco invita don Giussani a tenere degli Esercizi spirituali ad un gruppo di studenti ticinesi. Da dove nasce quell’invito? Che sintonia umana e spirituale legava questi due grandi sacerdoti?
L’incontro tra i due ha una radice molto profonda e si può rintracciare nella stessa esperienza di fede di Corecco, che nasce con un temperamento felice: fin da bambino si interessa di tutto, è curioso e spalancato alla realtà. E ha chiaro che vuole essere prete. In questa vocazione, infatti, intuisce la promessa di una pienezza di vita. Dopo gli studi a Roma e una breve esperienza come parroco in Valle Leventina (Ticino), inizia a studiare Diritto canonico. Contemporaneamente viene incaricato dal Vescovo di allora di seguire i giovani studenti universitari ticinesi. Frequentandoli, si rende conto che in tanti - troppi - non sanno molto della vita cristiana, scopre una grandissima ignoranza circa la fede intesa come vita. Questa percezione drammatica si incontra con l’inquietudine di alcuni ragazzi più attenti e svegli - siamo negli anni Sessanta, gli anni intensi e confusi del Concilio -, che cercano un cambiamento perché il tradizionale associazionismo cattolico non basta più. È in questo momento che Corecco legge su un settimanale un articolo su Giussani. E semplicemente lo va a cercare. Intuisce che quell’uomo vive la sua stessa esperienza, risponde al suo stesso desiderio e lo sa comunicare. Così partecipa a un ritiro di Gioventù Studentesca a Varigotti: sommerge di domande Giussani e poi lo invita nel 1966 a predicare il ritiro spirituale ai giovani dell’Associazione cattolica studentesca ticinese. Da quell’invito, e da quello che accadrà dopo, nasce il primo nucleo della futura CL in Ticino e in Svizzera.
Per Corecco quella con don Giussani è però soprattutto un’amicizia che continuamente rigenera entrambi a livello più intimo e personale…
Sì. Corecco è trasformato dall’incontro con lui, perché intuisce che quel modo di vivere il cristianesimo può incidere nel modo di essere prete, di affrontare gli studi, di approfondire la materia che il vescovo gli ha chiesto di studiare (diritto canonico) e investe tutta la sua persona. Don Eugenio ha vissuto profondamente la realtà del movimento: l’ha vissuta compromettendo totalmente la sua vita con le circostanze e le persone, spesso diversissime, che il Signore gli ha messo davanti. Per questo, quando nel 1969 diventa professore all’Università di Friburgo, continua a occuparsi attivamente dei primi giovani che hanno seguito don Giussani, che studiano lì e hanno deciso di vivere insieme. Dopo pochi anni anche lui va a vivere con gli studenti. Nascerà la casa “di rue Gambach” dove, tra l’altro, ottiene che alcuni ragazzi di CL che verificano la vocazione sacerdotale possano iniziare lì la loro formazione, frequentando la facoltà di Teologia di Friburgo. Tutto questo nasceva dal fatto che per lui l’esperienza comunitaria del movimento era una cosa di cui tutta la Chiesa aveva bisogno, di cui ciascun uomo aveva bisogno per trovare una casa. Il cuore dell’esperienza di CL era - ed è - l’esperienza comunitaria, i rapporti nuovi che l’esperienza del movimento poneva e pone nella vita delle persone. In altre parole, una comunione. E questo affascinava totalmente il futuro Vescovo di Lugano.
La riflessione sul tema della comunione è centrale anche nei suoi studi di diritto canonico. Che impatto ebbero per la Chiesa cattolica?
Il concetto di “communio” è decisivo anche dal profilo giuridico. La Chiesa si è data un primo Codice di diritto canonico nel 1917, un Codice che era a imitazione dei Codici di diritto civili. Corecco intuisce che non è sufficiente, perché la vita della Chiesa e dunque il suo diritto non possono ridursi in norme legislative dove giustizia e diritto sono intesi come nei codici civili. Se la Chiesa è comunione, questa la sua riflessione, le sue leggi non possono scaturire dal diritto civile ma partono da un’altra dinamica, da qualcosa che il Signore stesso genera continuamente come relazione tra coloro che lo seguono. La comunione, appunto. Questa sua intuizione ha dato impulso ad un dibattito interessantissimo per definire queste regole con una potenziale grande utilità anche per legislazione civile. La riforma del codice di diritto canonico, ormai invecchiato, era il terzo e conclusivo passo che San Giovanni XXIII aveva in mente quando indisse il Concilio Vaticano II. Concluso il Concilio, iniziò la riflessione dei canonisti che dovevano accogliere in un nuovo codice l’ecclesiologia conciliare. La Scuola di Monaco, dove Corecco si era formato, diede il suo contributo, centrato proprio sul concetto di communio, ed in particolare don Eugenio venne chiamato nella commissione che lavorò con Giovanni Paolo II alla redazione finale del Codice promulgato nel 1983. Le intuizioni più profonde di Corecco hanno incontrato ostacoli, eppure sono valide ancora oggi: basta vedere quello che accade con l’ipertrofia dei diritti dove qualunque desiderio si trasforma in diritto, ma a danno dei diritti dei più deboli e fragili. Il vigore con cui ha difeso la natura comunionale della Chiesa nasceva dall’incontro con il movimento e dal fatto che il movimento era la sua vita.
Decisiva per la sua vita sarà anche la profonda sintonia con Giovanni Paolo II.
Fu Wojtyla a volerlo Vescovo di Lugano nel 1986: si erano incontrati durante i lavori per la riforma del Codice ed erano legati da un’amicizia rara e profonda. Il Papa aveva capito che i movimenti erano un dono della Chiesa e non un elemento di disturbo, come invece credevano altri. Quindi spianò la strada a queste nuove realtà, affidando loro una missione evangelizzatrice che confortò molto don Giussani e lo stesso Corecco, che fu estremamente presente nei sinodi dell’87 e del ’90, da giovane Vescovo. Proprio il Sinodo del 1987 sui laici segna un momento bello da ricordare. In quell’occasione Corecco parlerà dei carismi, sottolineando come il carisma sia un dono particolare dato ad alcuni e non a tutti. Nella lunga amicizia con Giussani, anche nei momenti di disaccordo, il Vescovo di Lugano riconobbe sempre che il carisma era un dono fatto dallo Spirito al sacerdote brianzolo e per questo bisognava seguirlo. Aveva chiaro che l’unità era data dalla sequela al carisma e, attraverso quella, al Signore.
Furono anni straordinari, dove Corecco incontrò figure come von Balthasar e Ratzinger…
Siamo negli anni Settanta, la Chiesa postconciliare è in subbuglio. Angelo Scola, all’epoca giovane prete e studente di teologia all’Università di Friburgo, viene a sapere che Joseph Ratzinger, Hans Urs von Balthasar ed Henri De Lubac vogliono creare una nuova rivista teologica. Ne parla a Corecco e decidono di mettersi a disposizione per collaborare. Sentono von Balthasar che li rimanda a Ratzinger. Nasce così la rivista Communio, edizione italiana pubblicata da Jaca Book. In quegli anni incomincia un lunghissimo rapporto di collaborazione con loro e con altri teologi radunati intorno alla scoperta della Chiesa come comunione. Sia von Balthasar che Ratzinger sono affascinati dall’estrema vivacità CL e in un certo senso Corecco e Scola furono “il ponte” tra il futuro Papa e il movimento di don Giussani.
LEGGI ANCHE - Commossi dall'Infinito
La biografia, ricca e bellissima, dedica ampio spazio agli anni della malattia di Corecco, che morirà nel 1995 a soli 64 anni. Perché?
Perché furono anni fecondi, i cui frutti si vedono ancora oggi. Corecco si ammala nell’estate del 1992: un primo intervento alla schiena, un ciclo di cure. Il 1993 è un anno quasi di remissione, ma a dicembre la malattia torna a colpire duramente, si formano delle metastasi. L’anno successivo è una via crucis di interventi, terapie, ricoveri, ma il Vescovo continua a lavorare e a domandare a Dio il miracolo della guarigione. Ci sono opere iniziate da poco come la Facoltà di Teologia di Lugano e un promettente movimento di giovani di Azione Cattolica, teme di non riuscire a consolidarle e non si sente in colpa nel domandare con insistenza al Signore di concedergli ancora di vivere. La dottoressa che lo curava, che per tutto quel tempo aveva annotato il cammino di Corecco, ricorda il 14 febbraio del 1995 come la data del passaggio decisivo, quello in cui il Vescovo di Lugano dirà «come è facile» abbandonarsi alla Sua volontà, rimanere legato alla Sua volontà. La vita di questo giovane Vescovo ha suscitato uomini innamorati di Cristo e della Chiesa, ha generato e genera ancora una vivacità nei tanti ambiti che ha toccato e “vissuto”. È stata ed è un dono per cui non si finirà mai di ringraziare. Dono è stata anche la possibilità di scriverne la biografia. Come sempre in ogni ricerca, ci sono stati momenti difficili, passaggi aridi, ma mi dicevo: se lui ha potuto vivere tutto questo, aridità e difficoltà comprese, io posso ben scriverle.