Suor Ann Rose Nu Thawng davanti ai soldati il 28 febbraio 2021 (Fonte: Twitter)

Myanmar. Ancora in ginocchio per la pace

La sua foto mentre supplicava i militari di fermare la violenza ha fatto il giro del mondo. Per la Bbc è tra le 100 donne del 2021. «Non vinceremo con le armi, ma con l’aiuto del Signore». A un anno dal colpo di Stato, parla suor Ann Rose Nu Thawng
Alberto Perrucchini

«Uccidete me, non la gente», disse suor Ann Rose Nu Thawng ai soldati. Esattamente un anno fa, il primo febbraio 2021, i militari prendevano il potere in Myanmar. In mezzo ai tumulti, fu scattata questa foto che ritrae una suora in ginocchio davanti ai militari in assetto armato, e che ha fatto il giro del mondo. Suor Ann appartiene all’ordine di San Francesco Saverio, vive e lavora come infermiera in un Paese che pochi saprebbero indicare su una cartina, ed è stata nominata dalla Bbc tra le 100 donne del 2021. La abbiamo cercata per sapere da dove nasce quel gesto, e cosa sta accadendo un anno dopo.

Un anno fa, il primo febbraio 2021, il Myanmar ha subìto il colpo di Stato: com’è oggi la situazione?
Lo scenario politico in cui ci troviamo è difficile da descrivere. Possiamo dire, dopo un anno, che un gruppo di militari ha fatto precipitare il nostro Paese nel buio. Non c’è più sicurezza, la gente vive nella paura e la situazione peggiora via via. Ogni giorno si prega per la pace e la libertà, ma l’esercito continua a uccidere civili. Dopo i primi mesi di protesta pacifica, i giovani hanno lasciato le proprie case e sono andati a combattere: in questo modo le famiglie si stanno disgregando. Molte persone si sono viste costrette ad abbandonare le proprie abitazioni a causa degli scontri fra militari ed eserciti delle comunità etniche. Persino alcune chiese sono state bruciate e diversi preti sono dovuti scappare. Un fatto nuovo a cui abbiamo assistito è stato vedere i diversi gruppi etnici – che vivono nelle zone più periferiche del Paese – ribellarsi e unirsi fra loro. Prima nella capitale non si sapeva cosa succedesse in periferia. Adesso sì, finalmente la gente capisce la situazione delle minoranze etniche che sono in lotta da decenni col governo.

Suor Ann Rose Nu Thawng

E la situazione sanitaria?
Alcuni medici e infermieri sono stati uccisi, altri sono stati incarcerati. Io ho continuato a far nascere bambini, andando di notte nelle case, finché ci è stato proibito di uscire. Per due mesi sono rimasta in clinica praticamente blindata. A causa della guerra civile e del Covid, per la maggior parte della gente la vita quotidiana si è decisamente complicata. Tante persone sono affette da malattie fisiche, altrettante soffrono patologie di tipo psichico. I bambini non possono andare a scuola e questo è un altro fatto che complica le cose. Alcuni giovani, infine, sono stati costretti a sposarsi senza poter fare celebrazioni di nessun tipo. Il guaio è che non si vede una prospettiva di soluzione. Domina il caos.

E lei come sta?
Io continuo a lavorare nel nostro ospedale. I miei superiori mi hanno chiesto di non scendere più in strada per protestare, per ragioni di sicurezza. Militari e poliziotti sono venuti spesso a controllare i registri dei ricoverati e a chiedere informazioni su di loro. Ma io non ho paura, riconosco in me la presenza del Signore che mi sostiene e mi protegge. Anche io ho contratto il Covid, durante la seconda ondata, ma non ho smesso di curare la gente; indossando i dispositivi di sicurezza, ho cercato di assistere chi aveva più bisogno, in particolare garantendo l’ossigeno a coloro che stavano peggio, cercando come potevo di andare nelle case. È stato difficile lavorare, a causa del caldo e dell’umidità, con tutti gli strumenti di protezione, ma ho sempre sentito il Signore con me.

Il Covid e la guerra civile. Come ha vissuto i mesi passati?
È stato un periodo duro. Nei mesi scorsi, a causa della penuria di medici e infermieri, molte donne incinte si sono rivolte a noi. In pochi mesi ho aiutato a partorire tante donne, da sola ho fatto nascere più di 60 bambini, 30 dei quali nel solo mese di settembre. Mancando i medici, mi sono assunta responsabilità pesanti; chiedevo al Signore che mi aiutasse lui, ancora di più davanti a parti complicati o quando ho dovuto utilizzare il bisturi. Con i soldi arrivati da benefattori siamo riusciti a realizzare, in una zona della clinica, una piccola sala parto.

Il 17 marzo, all’Udienza generale, il Papa ha detto: «Anch’io mi inginocchio sulle strade del Myanmar e dico: cessi la violenza». Oggi la gente nel suo Paese sente la vicinanza del Santo Padre e della Chiesa?
Tutto il popolo del Myanmar è rimasto molto colpito dalle parole del Papa, segno del suo amore per questa gente. Francesco ha sentito il dolore del popolo birmano come fosse suo e ha espresso vicinanza e attenzione. Per questo lo ringrazio di cuore. La sua preghiera ha colpito tanto anche fuori dai confini del Myanmar e grazie a lui si parla della situazione nel nostro Paese. Abbiamo bisogno dell’aiuto degli altri Paesi per riprendere, un giorno, la vita e la normalità. Siamo grati anche all’Italia che si è fatta vicina in vari modi.

Come ha accolto la notizia che la Bbc l’ha inserita tra le 100 donne dell’anno 2021?
La notizia mi ha sorpresa, addirittura spaventata. Ma poi ho pensato che io sono solo un semplice strumento, attraverso il quale Dio opera. Lui ha dato a ciascuno di noi un talento, l’importante è usarlo per il bene.

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Può raccontarci come è iniziata la sua vocazione?
Ho un ricordo da bambina: durante la Via Crucis in chiesa sono rimasta profondamente colpita dalle piaghe sanguinanti di Gesù. Mi hanno fatta piangere e, insieme, hanno fatto nascere in me un senso di gratitudine per Colui che, a motivo del proprio amore, ha dato la vita per noi e per tutto il popolo. Sulle sue orme, anch’io ho deciso di spendermi per gli altri. La mia vocazione come religiosa delle suore di San Francesco Saverio è nata quando, nel mio villaggio natale, al confine tra lo Stato Shan e quello Kachin, nel Nord del Myanmar, mi sono resa conto che non c’erano suore che lavorassero nella pastorale. Sono entrata in noviziato a Pathein, nel Sud del Paese. Ho poi svolto uno stage come infermiera a Yangon e ho lavorato per un anno in un ospedale privato gestito da musulmani. Tornata a Pathein, ho seguito il percorso di formazione, di cinque anni, che mi ha portato alla professione religiosa. Ho continuato a studiare all’Università, per il dottorato in Psicologia. E da circa tredici anni opero come infermiera nella clinica diocesana di Myitkyina, capitale dello Stato Kachin.

Per lei cos’è la speranza? In quali fatti la intravvede?
Una persona senza speranza non può fare nulla, la sua vita è senza significato, diventa arida. Per questo non dimentichiamo mai il Signore e supplichiamo la Madonna per superare le difficoltà. In ogni momento, io chiedo al Signore come affrontare la vita e la realtà con speranza. Dio ha creato tutti per il bene, quindi non ci lascerà mai. Anche chi sbaglia, se tornerà con pentimento a Lui, verrà accolto da Dio, che è Padre di misericordia. Qui c’è chi non pensa al bene della gente, ma solo al proprio interesse: noi preghiamo per loro. Non possiamo vincere con le armi, ma possiamo farlo con la preghiera e con l’aiuto del Signore. Un’altra cosa che mi dà speranza è vedere che, mentre prima fra una comunità etnica e l’altra c’era ostilità, anche fra le religioni, ora invece stiamo sperimentando un cammino di unità, che può diventare strada per la vittoria sulle armi.

(hanno collaborato suor Margaret Htu Hkawng e Gerolamo Fazzini, che ha curato il libro intervista «Uccidete me, non la gente», ed. Emi)