San Giuseppe, seconda metà del XVIII secolo, attribuito a Salvatore di Franco, Metropolitan Museum of New York

Il Papa e il cuore di Giuseppe

Il 19 marzo è la festa di san Giuseppe. Ripercorriamo qui un ciclo di udienze che il Pontefice ha dedicato negli ultimi mesi allo "sposo di Maria"
Paolo Cremonesi

Lo ha raccontato in diverse interviste: Papa Francesco tiene sul suo comodino una statua di san Giuseppe che dorme e, alla sera, infila sotto il basamento alcune tra le tante richieste che riceve ogni giorno. E, come ha confessato ai fedeli il 2 febbraio scorso, da quarant’anni recita una preghiera al Santo prima di addormentarsi.

Lo scorso 8 dicembre, il Papa ha concluso l’anno speciale dedicato allo sposo di Maria, occasione per cui ha scritto la lettera apostolica Patris corde, “Con cuore di Padre”. Non stupisce quindi che siano state dodici le udienze che Bergoglio ha dedicato a questo Santo. L'ampio arco di riflessione, iniziato il 7 novembre scorso e concluso mercoledì 16 febbraio, gli ha permesso di spaziare tra diversi temi: dai “sogni” di Giuseppe al suo lavoro di artigiano, dalla condizione del migrante all’attitudine al silenzio, dalla tenerezza della vocazione di padre putativo alla sua fiducia nel misterioso disegno di Dio, solo per citare alcuni degli argomenti.

E anche se la stampa si è spesso soffermata sugli aspetti più immediati delle udienze (la difesa dei migranti, la deplorazione del lavoro minorile e delle morti bianche, il problema dell'orientamento sessuale dei figli o la condanna dell'accanimento terapeutico, per fare qualche esempio), le sue catechesi hanno sempre viaggiato in profondità offrendo un ventaglio di osservazioni sul nostro modo di concepire il rapporto con Dio e con la realtà.

Esempio di questa densità di pensiero è l'udienza del 12 gennaio, interamente dedicata al lavoro. Prendendo le mosse da Giuseppe, che non era semplicemente falegname ma anche carpentiere, come si usava in Palestina, il Papa ha detto: «Molti giovani, molti padri e molte madri, vivono il dramma di non avere un lavoro che permetta di vivere serenamente. E tante volte la ricerca di esso diventa così drammatica da portarli fino al punto di perdere ogni speranza e desiderio di vita». E ha proseguito: «Non si tiene abbastanza conto del fatto che il lavoro è una componente essenziale nella vita umana. Lavorare non solo serve per procurarsi il giusto sostentamento: è anche un luogo in cui esprimiamo noi stessi, ci sentiamo utili, e impariamo la grande lezione della concretezza che aiuta la vita spirituale a non diventare spiritualismo».

Altro spunto di meditazione viene offerto nella udienza dedicata a “San Giuseppe uomo del silenzio”, del 15 dicembre. Se la premessa è una frase del filosofo Pascal per cui «tutta l’infelicità degli uomini proviene da una cosa sola: il non saper restare tranquilli in una camera», il Papa osserva come «dobbiamo imparare da Giuseppe a coltivare il silenzio. Quello spazio di interiorità nelle nostre giornate in cui diamo la possibilità allo Spirito di rigenerarci, consolarci, correggerci. Non dico di cadere in un mutismo, no, ma coltivare il silenzio. Ognuno guardi dentro a se stesso: tante volte stiamo facendo un lavoro e quando finiamo, subito cerchiamo il telefonino per fare un’altra cosa. Questo non aiuta, ci fa scivolare nella superficialità. La profondità del cuore cresce col silenzio, silenzio che lascia spazio alla saggezza, alla riflessione e allo Spirito Santo. E il beneficio del cuore che ne avremo, guarirà anche la nostra lingua, le nostre parole e soprattutto le nostre scelte».

E il 9 gennaio ribadisce: «Dobbiamo ricordare che dentro ognuno di noi non c’è solo la voce di Dio: ce ne sono tante altre. Ad esempio quelle delle nostre paure, delle esperienze passate; e c’è pure la voce del maligno che vuole ingannarci e confonderci... Giuseppe dimostra di saper coltivare il silenzio necessario e, soprattutto, prendere le giuste decisioni davanti alla Parola che il Signore gli rivolge interiormente».

Non poteva mancare nel ciclo del Pontefice un’udienza sulla misericordia, cavallo di battaglia di un Papa che ad essa ha dedicato un intero anno giubilare. «Dio non fa affidamento solo sui nostri talenti ma anche sulla nostra debolezza redenta», osserva il 19 gennaio: «Questo, ad esempio, fa dire a san Paolo che c’è un progetto sulla sua fragilità. Il Signore non ci toglie tutte le debolezze ma ci aiuta a camminare con esse, prendendoci per mano. Questo è tenerezza. L’esperienza della tenerezza consiste nel vedere la potenza di Dio passare proprio attraverso ciò che ci rende più fragili; a patto però di convertirci dallo sguardo del Maligno che ci fa guardare con giudizio negativo la nostra fragilità, mentre lo Spirito Santo “la porta alla luce con tenerezza” (Patris corde, 2). Il Signore ci dice la verità e ci tende la mano per salvarci. Dio perdona sempre. Siamo noi che ci stanchiamo di chiedere perdono. Ma lui perdona sempre, anche le cose più brutte».

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Infine, l'ultima udienza dedicata a “San Giuseppe patrono della Chiesa”: «Oggi è comune criticare la Chiesa, sottolinearne le incoerenze - ce ne sono tante -, i peccati, che in realtà sono le nostre incoerenze, i nostri peccati, perché da sempre la Chiesa è un popolo di peccatori che incontrano la misericordia di Dio. Solo l’amore ci rende capaci di dire pienamente la verità, in maniera non parziale; dire quello che non va, ma anche riconoscere tutto il bene e la santità che sono presenti nella Chiesa. Ma la Chiesa non è quel gruppetto che è vicino al prete e comanda tutti, no. Siamo tutti, tutti. In cammino. Custodirci uno l’altro, custodirci a vicenda. È una bella domanda, questa: io, quando ho un problema con qualcuno, cerco di custodirlo o subito lo condanno, sparlo di lui, lo distruggo? Dobbiamo custodire, sempre custodire!».