NICCOLÒ FABI «Parole che fanno bene» a ritmo di musica

Walter Muto

Stavolta ho fatto alla vecchia maniera, ho acquistato un CD perché mi incuriosiva il titolo e perché il lavoro precedente dello stesso autore mi era piaciuto. E voglio fare una recensione al primo ascolto. Allora tradizionalmente, si apre il CD (come una volta il caro vecchio vinile) e prima di metterlo su lo si legge un po’. E se l’autore è generoso si scoprono subito alcune cose. In questo caso Niccolò Fabi ci racconta subito che per nove mesi ha composto e registrato in perfetta solitudine i brani dell’album. E ci comunica anche che quando il nucleo del lavoro era chiaro, ha coinvolto altri musicisti. Poi una rapida scorsa ai testi, si guarda il retro con i tempi, e si scoprono canzoni tutte oltre i 4 minuti. E inizia l’ascolto. Non è un disco facile e lo si capisce subito: quello che interessa a questo giovane autore, ora cresciuto, è comunicare la propria vita (è solo un uomo e lo voglio raccontare/perché la gioia come il dolore/si deve conservare/si deve trasformare). La musica segue le parole, si dilata, non necessariamente seguendo i tempi brevi di una canzone standard, ma lasciando un po’ di spazio ai musicisti. Anche questo non è usuale, ormai e purtroppo. Ma andiamo avanti. Non si può analizzare pezzo per pezzo tutto il disco, ma bisogna dire che Fabi musicalmente si rifà un po’ agli americani più amati (soprattutto Sufjean Stevens) e un po’ agli italiani illustri (su tutti Battisti, citato anche letteralmente nell’ultimo brano). Nei testi è presente spesso una forte domanda, che a sprazzi emerge possente: siamo frasi di un discorso che non formano un concetto (…) siamo pesci in un acquario e non sogniamo il mare / Poi ti guardo e riconosco in te la mia stessa ferita (“Questo pianeta”); Io non parlo con chi non mi guarda negli occhi (…) più passa il tempo e meno ho interesse a sprecare la voce (“La mia fortuna”).
Insomma, le parole piacciono a Niccolò, ma al tempo stesso non vanno sprecate. E per comprendere il suo viaggio bisogna seguirlo con attenzione. Nel suo mondo, nella sua musica per lo più distesa si aprono squarci che fanno pensare, che possono diventare anche per noi Parole che fanno bene.
Un lavoro non facile, quindi, qualche anno fa lo si sarebbe chiamato un disco “impegnato”; il 41enne Niccolò è evidentemente cambiato rispetto agli inizi certamente più scanzonati, ma fra le sue righe (poetiche o pentagrammate) si possono scoprire belle sorprese.

Niccolò Fabi
Solo un uomo

Universal