"Le stigmate di san Francesco" di Jan Van Eyck, <br>una delle opere esposte.

ROMA La città mette in mostra la santità

"Il potere e la grazia" è la rassegna dedicata ai santi d'Europa che rimarrà fino al 10 gennaio a Palazzo Venezia. Ottanta capolavori presentano «quell'incontro positivo e fecondo tra cristianesimo e cultura»
Cristina Terzaghi

Nessuno, nemmeno l’autista più smaliziato o il giapponese più rapito dalla mole dell’Altare della Patria, può evitare, transitando per il centro di Roma in questi giorni, di chiedersi che ci fanno quegli enormi stendardi di Santi appesi alla facciata di Palazzo Venezia, che sembra parata per il passaggio di una processione. In realtà nelle sale del palazzo si è da poco aperta un’esposizione che mette a tema la santità, e quegli stendardi sono il segnale di richiamo.
«In ogni epoca ci sono stati dei “modelli di santità” di riferimento: in un certo senso è come se Dio reagisse alla situazione complessiva di ciascuna stagione della storia con un certo tipo di uomini e un certo tipo di santi». Con queste parole don Alessio Geretti, curatore della mostra "Il potere e la grazia", ha spiegato in una recente intervista il percorso dell’esposizione, promossa dal Governo italiano, tramite l’Ambasciata d’Italia presso la Santa Sede, e dalla Pontificia Commissione per i Beni Culturali. Una sfilata di capolavori (circa ottanta tra dipinti e codici miniati) dei maggiori artisti europei, schierata nel tentativo di illustrare quella che è stata una delle matrici della storia dell’Europa: la santità.
Verso l’intento Musei ed istituzioni italiani e stranieri hanno dimostrato una singolare generosità, e la mostra gode così di prestiti straordinari. Solo per fare un esempio le Stigmate di San Francesco di Jan Van Eyck, una tavoletta gelosamente custodita alla Galleria Sabauda di Torino, dove viene esposta rarissimamente per problemi di conservazione, si può invece tranquillamente ammirare a Roma. Nessun problema nemmeno per il San Giorgio di Andrea Mantegna, normalmente conservato alle Gallerie dell’Accademia di Venezia o per la straordinaria pala di Tiepolo, che raffigura la Madonna con Bambino e i Santi Caterina da Siena Rosa da Lima e Agnese di Montepulciano, traslata senza troppi problemi dalla chiesa veneziana dei Gesuiti.
Ma il nesso tra la santità e la storia è solo il primo dei due registri sui quali è costruito il percorso espositivo. Il secondo è lo splendore che proviene dalla bellezza della santità: «Se immaginassimo che fossero radunati su un unico calendario tutti i santi patroni dei Singoli stati europei, ci troveremmo davanti ad un panorama umano e cristiano interessantissimo e variegato, costituito da settanta figure di Santi che raccontano di epoche diverse», spiega ancora il curatore della mostra.
Nessun timore, dunque, di portare in scena opere che dal punto di vista storico o artistico ben poco hanno a che fare l’una con l’altra: il Martirio di San Pietro del Guercino, un artista emiliano del Seicento, accanto al San Benedetto del fiammingo Hans Memling, tanto per fare un esempio. La mostra si propone, infatti, come una sorta di “gigantesca iconostasi”, cioè una di quelle straordinarie macchine, spesso realizzate in legno intagliato, dorato e dipinto che nelle chiese ortodosse dividono la zona presbiteriale dove trova posto il clero, dalla navata riservata ai fedeli, gremite appunto da figure di Santi.
Se a tutta prima si resta storditi dalla bellezza dei capolavori raccolti, ci si rende poi conto che le dieci sezioni in cui è articolata la mostra rispondono ad una sequenza cronologica, nel tentativo di tessere una sorta di storia della santità.
La prima, più generica e intitolata “La Santità”, è incentrata sulla figura della Vergine Maria, magistralmente rappresentata dall’Immacolata Concezione, capolavoro dello spagnolo Murillo. Seguono le sezioni dedicate ai primi secoli del cristianesimo con i Martiri e i Confessori. Tra di essi, la figura di San Pietro viene splendidamente documentata da Guercino e Luca Giordano. Poi, i Monaci e gli eremiti che hanno posto le basi del sistema monastico e conventuale che ha enormemente contribuito alla civilizzazione dell’Europa. Segue una sezione dedicata ai vescovi, ai Re che furono santificati (ad esempio il San Luigi re di Francia che adora la Sacra Famiglia dello spagnolo Claudio Coello e lo straordinario San Luigi re di Francia con un paggio di El Greco) e ai Cavalieri di Dio, tra cui spiccano i disegni di Eugène Grasset che raffigurano episodi della vita di Santa Giovanna d’Arco.
La mostra si propone di mettere in luce le molteplici connessioni tra la santità e il potere terreno, talvolta peraltro drammatiche fino ad arrivare ad un vero e proprio conflitto. I martiri ne sono la prova più evidente, ma certo non l’unica: «Si tratta del conflitto tra comunità civile e Chiesa, tra appartenenze religiose e interessi politici, tra aristocrazie e élites intellettuali e movimenti di riforma spirituale e di ricerca dell’autenticità religiosa. Per onestà, tuttavia, dobbiamo ricordare che un tale conflitto accompagna la storia dell’Europa, facendosi più acuto in alcuni momenti, senza però tacere che questa medesima storia rimane prima di tutto la storia dell’incontro positivo e fecondo tra cristianesimo e cultura, tra Chiesa e società», ricorda ancora don Geretti.
L’esposizione si chiude con una sezione dedicata alle figure che sono state universalmente proclamate patrone dell’Europa, dove si può ammirare una delle lettere di Santa Caterina da Siena, oltre al codice che raccoglie le Revelationes di Santa Brigida. Infine compaiono i Santi che meglio hanno rappresentato il conflitto tra la Chiesa e il potere, tra cui spicca il San Giovanni Battista di Caravaggio della Galleria Corsini di Roma, il Sant’Ambrogio e l’imperatore Teodosio di Van Dyck e il celebre Ritratto di Tommaso Moro, di Hans Holbein.
E certo se un buon cinquanta per cento (per stare bassi) dei dipinti a noi pervenuti nel corso dei secoli si è preso la briga di raffigurare i santi e le loro storie, anziché nature morte, favole mitologiche o scene di vita quotidiana, essi dovevano senza dubbio essere percepiti come protagonisti assoluti e contemporanei del tempo di chi quei dipinti volle e commissionò, oltre, ovviamente, a realizzarli.
Si esce dunque dall’esposizione con la sensazione di aver fatto un profondo tuffo nel passato e con una pressante domanda rivolta al presente: e ora? Gli scritti di Teresa Benedetta della Croce, al secolo Edith Stein, ebrea convertita al cristianesimo, entrata in convento e morta ad Auschwitz in un campo di concentramento, esposti in mostra, sono forse il pertugio di una speranza che i tempi raccontati dall’esposizione possano avere qualcosa a che fare con il dramma di oggi.