Una delle foto esposte.

MOSTRA La gioia di appartenere ad un popolo

Fino al 3 gennaio 2010, al Centro culturale di Milano rimarrà aperta una mostra del fotografo Pablo Ortiz Monasterio: oltre 40 scatti, dedicati al Messico e alla sua gente. Ecco un'anteprima del catalogo e una gallery delle foto esposte
Laura Juárez González

Le fotografie de La Última Ciudad (L'ultima città) di Pablo Ortiz Monasterio ci offrono uno spaccato della vita di Città del Messico negli anni 80. Da allora, alcune cose sono cambiate, altre sono rimaste tali. Non ho certo la pretesa di esaurire la ricchezza degli argomenti che sbocciano da queste immagini, mi accontenterei di sottolineare certi aspetti che, a mio avviso, conferiscono unità al materiale propostoci. Di primo acchito, il più evidente sembrerebbe essere quello della povertà. È indubbio che in Messico persistono disuguaglianze sociali e che tale circostanza si riflette anche sulla vita della capitale, dove la modernità ha trovato una formula di convivenza con l’emarginazione. Tuttavia, sarebbe semplicistico ridurre queste immagini ad un ritratto dell’ingiustizia sociale. Ciò che si presenta ai nostri occhi va molto oltre; un altro fattore che sorprende proprio per la carenza materiale dei protagonisti è la gioia assoluta e infantile che trasuda dal loro sentirsi parte di un popolo.
Questa mostra è il ritratto di un popolo in sofferenza sì, ma anche di un popolo che ama, festeggia, lavora e riesce a crescere i propri figli. Guardando due bambini che camminano abbracciati, la genuina allegria degli invitati ad un matrimonio, la simpatia e l’amichevole complicità tra una bella cliente che si fa lucidare le scarpe, il lustrascarpe e i suoi amici, due ragazzi intenti in evoluzioni di tauromachia da soli eppure insieme, o ancora osservando una coppia che cammina tenendo due bambini per mano, ci accorgiamo che l’io di ogni individuo, di ogni protagonista, vive all’interno di una comunità umana che condivide le proprie gioie, sostiene nelle avversità e dà la forza necessaria per arrivare al traguardo. La stessa cosa ce la raccontano le esplicite riprese di momenti festivi, dove si vedono uomini abbigliati con i tipici costumi e le maschere, o in altre riprese, più sottotono, dove i “razzi” o i fuochi artificiali alludono alle feste popolari di quartiere o della parrocchia, contesti autonomi che, inseriti nella grande città, si organizzano per festeggiare il proprio patrono.
Ma che cosa determina le origini di questo popolo? Perché ci riconosciamo come appartenenti ad esso e quindi parte dello stesso? È sufficiente vivere nella stessa megalopoli e patirne i problemi? Ho l’impressione che l’essenza di questo popolo diventi palpabile davanti alle fotografie di Ortiz Monasterio, proprio perché permea la vita quotidiana della città: la religiosità cristiana. La troviamo incarnata nella Madonna di Guadalupe, origine di una cultura nuova, meticcia, sintesi dell’identità indigena e di quella europea, il cui sguardo sereno si posa su un ragazzo immerso in un videogioco. Potrebbe sembrare una contraddizione trovarla qua, in un luogo in apparenza così banale, ma non è così, per Lei nessun angolo della città o della vita quotidiana dei messicani è indegno di sé. Chiunque visiti Città del Messico la troverà circondata di fiori e di affettuose attenzioni agli angoli delle strade, dove i mendicanti chiedono l’elemosina, alle stazioni dei taxi e dei minibus, nei mercati e nei negozi di ogni genere. Lei, la Vergine di Guadalupe, accompagna tutti, in ogni vicissitudine della vita come esperienza presente e non esiste luogo in cui abbia paura di entrare.
La mostra ci parla di questa fede insita nel popolo anche attraverso la festività di san Giovanni Battista, le onnipresenti targhe sulla parte posteriore dei camion con la dicitura «Sólo Cristo salva» oppure «Dios ilumina mi camino», o nel ragazzo che interpreta Gesù in una affollatissima rappresentazione della Passione tipica della Settimana Santa di Iztapalapa, il quartiere più povero e popoloso della città.
Tra le immagini de La Última Ciudad, troviamo anche i ritratti dei “chicos banda” delle aree periferiche, nei quali riusciamo a intravedere una vitalità, una voglia di vivere che sembra aver trovato nella violenza una modalità di affermazione. Già osservando queste immagini è possibile percepire l’erosione dell’identità e lo sradicamento che oggi devasta le nuove generazioni. Oggi, come allora, il Messico e la sua capitale devono prodigarsi nel creare opportunità per tutti, per una distribuzione più equa della ricchezza, ma la sfida più grande cui si trova di fronte è proprio questa progressiva perdita d’identità che colpisce tutti, non solo i poveri. In questo quadro, le immagini di quest’esposizione mi inducono a pensare che il punto di partenza per la costruzione quotidiana del futuro passi da una rivalutazione della nostra esperienza di appartenenza ad un popolo e ad una tradizione che, come ci dicono eloquentemente le immagini, non è una pesante zavorra che frena la creatività, ma piuttosto amicizia e ricchezza di significato per il presente e fonte di pace per la costruzione della nostra storia.

Orari della mostra:
Dal 30 ottobre al 3 gennaio 2010
Lunedì-venerdì h 10-13 e 15-18; domenica h 15-18
Centro Culturale di Milano, Sala Verri
Via Zebedia, 2 [MM1 Duomo - MM3 Missori]

Per informazioni: www.cmc.milano.it