Un momento dell'incontro.

LAFFORGUE «Il cristianesimo, religione della conoscenza»

Il grande matematico francese ha inaugurato la stagione del Centro culturale di Milano. Raccogliendo, in una civiltà di saperi frammentati, la sfida della "Caritas in veritate" ad «andare più lontano»
Flora Crescini

La verità, la carità, la conoscenza. Sono i temi da cui è ripartita l’attività del Centro culturale di Milano, il 26 ottobre in un incontro dedicato proprio alla Caritas in veritate di Benedetto XVI. A Laurent Lafforgue, grandissimo matematico dell’Académie des Sciences francese, il compito di spiegarla. Sfida indubbiamente interessante: non un filosofo, non un teologo, e tantomeno un sociologo, ma un matematico.
Sin dalle prime battute, fa sul serio: «Per noi cristiani è naturale e abituale pensare che il cristianesimo sia la religione dell’amore - osserva -. Ma pochi sono coloro a cui capita di pensare che il cristianesimo sia anche la religione della conoscenza. D’altra parte, amore e conoscenza non vengono associati: le lingue europee moderne non ci invitano a farlo, contrariamente alla lingua ebraica in cui lo stesso verbo significa “amare” e “conoscere”». Strano a dirsi, ma già nella lingua in cui parliamo è presente un dualismo, quasi che l’amare sia un’altra cosa rispetto al conoscere e viceversa.
Lafforgue fa subito notare che in un’enciclica, che tutti chiamano sociale, l’attenzione sia attirata «su un fatto molto concreto: l’esistenza di una grande similitudine tra l’esperienza umana dell’amore e quella della verità o della conoscenza», indicando così che la dinamica dell’esperienza umana è un valido metodo per giungere alla conoscenza della Verità ultima. Infatti «la verità e l’amore che essa fa intravedere non possono essere fabbricate. Possono soltanto essere accolte». Quando nell’esperienza umana irrompe un dono più grande di noi, l’io si sente rinascere; nessun tentativo posto in atto dall’io può suscitare un tale risveglio: «Sappiamo bene, infatti, che non dipende da noi essere amati da una persona, e che, ancora, non possiamo suscitare nessun amore nel nostro cuore con un atto della volontà». E quello che vale per gli uomini, vale anche per Dio. La verità è dunque «quel che la nostra volontà è impotente a piegare».
Se un matematico ha per vocazione di conoscere bene la matematica, è tuttavia vero che «la conoscenza accademica non è tutta la conoscenza: è solo una verità particolare. Le verità particolari, quindi, hanno bisogno non tanto di essere abbandonate, ma di ritrovare il loro legame con la verità tutta intera». Il particolare non lascia tregua fino a quando non ha incontrato il tutto. Un certo tipo di sapere non è criticabile per le sue conoscenze, ma è da criticare quando tali conoscenze mancano del desiderio e dell’attesa della verità tutta intera.
Ed è a questo punto che Lafforgue sferra un colpo di fioretto: «Avete in mente la famosa formula di Galileo che fonda la scienza moderna, “Il mondo è scritto in segni matematici”? Diventa falsa e pericolosa, se è compresa nel senso che la verità sarebbe matematica, o che l’essenza del mondo sarebbe matematica. Il pericolo di comprendere la formula di Galileo in questo senso totalizzante e riduttore è stato smisuratamente accresciuto dal meraviglioso e affascinante successo della scienza galileiana». Sappiamo bene a cosa ha portato: l’acqua non è più ciò che bagna gradevolmente il corpo, ciò che si beve e sazia la sete, bensì è H2O. Utilizzando formule, si è un po’ perso il linguaggio della natura, vale a dire il linguaggio dell’esperienza sensibile. Di fronte a questa invasione di formule scientifiche e applicazioni tecniche occorre allora tornare indietro? Per Lafforgue la tentazione è grande. Ma, ancora una volta, il matematico si lascia mettere in discussione dalla Chiesa: «La tecnica - è bene sottolinearlo - è una realtà profondamente umana, legata all’autonomia e alla libertà dell’uomo... Non ho mai sentito da nessun scienziato progressista un elogio così profondo della tecnica o dello sviluppo moderno dello spirito. Ecco perché i sedicenti intellettuali che descrivono Benedetto XVI come anti-moderno mostrano che non l’hanno letto».
In sintesi, «non bisogna rinunciare alla scienza galileiana, ma non bisogna ridurre a essa l’essenza del mondo», che non è scritto solo in segni matematici: «Partendo dal fascino che la tecnica esercita sull’essere umano, si deve ritrovare il vero senso della libertà, che non risiede nell’ebbrezza di un’autonomia totale, ma nella risposta alla chiamata dell’essere, cominciando dal nostro essere». Il particolare non lascia tregua, fino quando non ha incontrato il tutto.
Tutto ciò mette in luce la tragedia della frammentazione dei saperi, che tanto ci angoscia: sappiamo migliaia di nozioni, e tuttavia non possiamo dire di conoscere, nel senso più pieno. Conosciamo forse i singoli tasselli di un puzzle, ma non il disegno. Sappiamo e non possiamo amare. E per concludere, Lafforgue ribadisce: «Questo amore nella conoscenza è l’autentico ispiratore e animatore della ricerca di tutte le verità particolari e della loro trasmissione. Lo dice l’enciclica: “È sempre necessario andare più lontano...”».