Uno dei quadri esposti alla mostra.

MOSTRE Matteo Ricci, il gesuita che volle farsi più cinese dei cinesi

A 400 anni dalla morte del missionario che portò il Cristianesimo in Cina, il Vaticano ha allestito una mostra che ripercorre la sua vita. Dal verbale di ammissione al noviziato alla lettera che Sisto V, grazie a lui, stava per mandare all’imperatore...
Alessandra Buzzetti

In Occidente pochi lo conoscono, ma in Cina si studia a scuola e compare - unico straniero, eccetto Marco Polo - nel fregio in marmo che al Millenium Center di Pechino racconta la storia ufficiale del Paese. Matteo Ricci è considerato a tutti gli effetti tra i padri fondatori della civiltà cinese. Un destino singolare per il gesuita che per primo portò il Vangelo nel cuore del Celeste Impero e che fu sepolto - coi più grandi onori - nella Città proibita, esattamente 400 anni fa. Ed è il quarto centenario della morte, l'occasione per rilanciare la figura di questo grande missionario, raccontata nella mostra “Ai crinali della storia. Padre Matteo Ricci (1552-1610) fra Roma e Pechino”, allestita nel Braccio di Carlo Magno, in Vaticano, aperta fino al 24 gennaio 2010. L’esposizione è a cura del comitato promotore delle celebrazioni del IV centenario di padre Matteo Ricci, in collaborazione con i Musei Vaticani, la Curia Generalizia della Compagnia di Gesù e la Pontificia Università Gregoriana.
Un itinerario per conoscere l’affascinante avventura di un uomo colto e appassionato, disposto a diventare più cinese dei cinesi. Tutto per amore di Cristo, che padre Ricci conosce attraverso il carisma di sant’Ignazio di Loyola. In mostra - nella prima sezione che racconta il cammino vocazionale di Matteo da Macerata, città natale, a Roma, - anche il verbale dell’esame di ammissione al noviziato. Un preziosissimo documento, messo accanto ai grandi santi che hanno fatto la storia della Compagnia di Gesù: ecco allora la bellissima tela di Peter Paul Rubens che raffigura un miracolo di sant’Ignazio e, di fronte, il ritratto a dimensioni naturali di san Francesco Saverio, l’evangelizzatore delle Indie orientali, sepolto a Goa. E proprio qui, 26 anni dopo la sua morte, approdò anche Matteo Ricci, prima tappa della sua incredibile avventura missionaria in Oriente. In India celebrò la sua prima messa, in India ricevette l’ordine di trasferirsi a Macao, per studiare il cinese e prepararsi ad entrare nel Celeste Impero, allora impenetrabile agli stranieri.
Imparata la lingua alla perfezione, padre Ricci usa di tutto il suo bagaglio culturale per conquistare la fiducia dei diffidentissimi mandarini. A partire dalla sua passione per la scienza, la geografia, la fisica e l’astronomia.
E così - ed entriamo nella parte più sostanziosa della mostra - si può ammirare una significativa raccolta di astrolabi e strumenti di misurazione, carte geografiche e mappamondi, con cui il missionario gesuita fece scoprire ai cinesi il resto del pianeta, a loro sconosciuto, impresa che gli aprì definitivamente le porte dell’impero cinese. Perché padre Ricci è attento e abile: si fa cartografo per far capire in modo graduale che al mondo non c’è solo la Cina, ci sono anche altre nazioni e continenti.
Accanto a mappe e strumenti, sono esposti anche i libri di matematica, filosofia e astronomia che padre Ricci tradusse in ideogrammi... e viceversa. Grazie a lui, Confucio arrivò in Occidente. E la via dell’inculturazione scelta dal gesuita, unita alla pratica instancabile della carità, seppe dare presto i suoi frutti: importanti dignitari e saggi cinesi, come anche semplice gente del popolo, si convertirono, colpiti dalla profonda conoscenza e dal grande rispetto del missionario per il Confucianesimo e per il patrimonio culturale cinese.
La stima dell'imperatore per padre Ricci divenne tale che si arrivò a un soffio dall'avviare rapporti diplomatici con lo Stato pontificio. A dimostrarlo è la matrice in legno - esposta nella mostra - di una lettera che Sisto V avrebbe dovuto scrivere all'imperatore, ma il Papa morì senza riuscire a firmarla. A 400 anni di distanza, un altro Papa potrebbe presto firmare il decreto di beatificazione del primo evangelizzatore in terra cinese. A confermarlo è monsignor Claudio Giuliodori, vescovo di Macerata: «L’avventura straordinaria di padre Matteo Ricci che ha costruito per la prima volta nella storia un ponte di dialogo e di scambio tra Europa e Cina, attraverso cui vi ha portato il Vangelo un’avventura che anche oggi può contribuire a rafforzare i vincoli di comunione con i cattolici cinesi, come auspicato da Benedetto XVI nella lettera a loro indirizzata nel 2007», ha detto il presule della diocesi d’origine del missionario. «E in questo senso è interesse di tutti che il riconoscimento del suo cammino verso la santità proceda in modo spedito e positivo». La fase diocesana del processo di beatificazione si è conclusa nel 1985, gli atti sono stati poi trasmessi alla Congregazione delle Cause dei santi, dove ora sembra essere arrivato un nuovo input. La speranza di molti è di poter beatificare presto padre Matteo Ricci insieme con il primo convertito cinese, Xu Guaangqui. Il condizionale è d’obbligo, data anche la delicatezza necessaria nei non facili rapporti tra Santa Sede e il governo di Pechino. Ma i santi, si sa, di miracoli se ne intendono non poco.