Il cardinale di Madrid <br>Antonio Maria Rouco Varela.

DIARIO DA MADRID / 3
Fatti che cambiano lo sguardo degli uomini

Ultimi due giorni di Encuentro, segnati da esempi di un modo diverso di guardare sé e gli altri: dal cardinale Rouco Varela a padre Trento, dall'oncologo Melazzini allo scrittore Guénard. Tutti accomunati da una cosa: l'incontro con Gesù
Yolanda Menéndez

Sabato 10 aprile
«Noi medici, dobbiamo avere il coraggio di imparare a guardare i nostri malati, di vedere l’uomo che soffre e vive la malattia che curiamo, di domandarsi chi è quest’uomo che curo e perché voglio curarlo». Sono parole dell’oncologo Mario Melazzini che, davanti a un auditorio affollato, ha raccontato la sua testimonianza. Un uomo appassionato di sport e montagna la cui vita un giorno “si paralizza” per la diagnosi di una malattia neurodegenerativa. La paralisi lo porta a decidere di anticipare la fine della sua vita; ma l’indifferenza di un’associazione svizzera per il suicidio assistito nell’accettare la sua richiesta ha fatto sì che qualcosa cambiasse. Da lì è iniziato un cammino che ha cambiato totalmente lo sguardo sulla vita, sulla malattia e sugli altri.
«Ho capito qual è il valore della mia professione che è guardare all’uomo, alla donna, al bambino malato che hanno bisogno di essere curati e di essere accompagnati nella loro sofferenza. Hanno bisogno di essere guardati per quello che sono. Ho capito che lo sguardo fa parte della cura».
È il cambiamento che suscita uno sguardo nuovo, come è successo agli apostoli. Lo ricordava questo sabato il cardinale arcivescovo di Madrid, Antonio Maria Rouco Varela, parlando del valore storico della presenza di Gesù. «Tutti parlano di Gesù e ci sembra normale usare il suo nome. Ma l’incontro con la persona di Gesù affascina l’uomo fino al punto da far nascere la domanda: “ma chi è?”».
Rouco ha sottolineato che «il primo passo per aprirsi a Dio è aprirsi a se stessi, che se l’uomo è sincero con se stesso, non si inganna». Questa è la proposta della Giornata Mondiale della Gioventù che si svolgerà a Madrid nel 2011, e che «sarà dedicata più che mai al “sì” alla persona di Cristo».
A EncuentroMadrid si è parlato anche di educazione, di energia e di come superare la crisi. E lo si è fatto con esempi. Come ha detto Arturo Galán, vicedecano della Facoltà di Educazione alla UNED, «bisogna guardare a chi educa e al perché lo fa». Una educazione che si riflette nelle facce dei partecipanti più giovani di Encuentro, che hanno partecipato a due concerti: lo spettacolo del gruppo Neopercusiòn, dal titolo “El rostro pálido” e il concerto “Surprised by joy” con spirituals, gospel, bluegrass e jazz.


Domenica 11 aprile
Lo scrittore francese Tim Guénard e padre Aldo Trento hanno chiuso l’EncuentroMadrid 2010 con un incontro dal titolo “La mia opera è l’opera della mia vita” dove hanno testimoniato le ragioni che sostengono non solo le loro opere, ma la loro vita. Due vite segnate dalla miseria (in un caso per la malattia psicologica, nell’altro per l’abbandono fisico) ma determinate dall’incontro con persone che, come ha detto Guénard, «sono state scelte per stirare i cuori raggrinziti, come era il mio».
Dopo l’incontro con un gruppo di cristiani che considerava «una banda di scemi», Tim Guénard è stato testimone di un fatto che non ha potuto dimenticare. «Un giorno, in chiesa, un mio amico handicappato si avvicinò all’immagine della Vergine Maria, la prese e la portò al tabernacolo. Mentre teneva la figura della Madonna vicino al tabernacolo, mi ha detto: “Dai un bacio a tua Madre”. In quel momento mi sono reso conto che il cristianesimo consiste nella relazione di un figlio con sua madre, e quello sì mi interessava». «Quando invitate quelli che non hanno fede non fatelo perché si convertano, ma perché siano testimoni della vostra festa. Dopo il Grande Capo farà il resto».
Un invito che si misura con la provocatoria affermazione di padre Aldo Trento: «Non esiste un problema che sia più grande della risposta di Cristo». Lui si è reso conto di questo da un fatto capitato nella sua vita anni fa. «Mi sono innamorato e vivevo questo come se fosse un peccato, fino a quando don Giussani mi disse: “Finalmente sei un uomo!”. Mi sono reso conto di come avessi vissuto fino a quel momento come se Cristo non fosse tutto. Quell’innamoramento ha fatto nascere la necessità che lo fosse».
Quel fatto ha suscitato un’affezione per se stesso che con il tempo è sfociata in affezione verso gli altri. «Io ripetevo tutti i giorni “io sono tu che mi fai” fino a quando un giorno, guardandomi allo specchio, mi sono reso conto che realmente io ero frutto della tenerezza di Dio. Ho iniziato a pettinarmi, ad allacciarmi le scarpe, ho iniziato a rendermi conto di che cosa è la vita». I suoi malati, che va a trovare ogni mattina, li bacia uno ad uno e si inginocchia davanti a loro. «Nella nostra clinica c’è un’immagine della Vergine Maria ma non il Crocifisso, perché il malato è Cristo».
Un’apertura così è quello che secondo Jon Juaristi, direttore generale della Università del Comunidad di Madrid, manca nell’attuale Università spagnola, dove «si rifiuta qualsiasi tipo di posizione che implichi una apertura alla trascendenza e in cambio si offre il vuoto più assoluto. È qualcosa che non ha precedenti nella storia dell’Università». Il problema è stato evidenziato anche da Carmine Di Martino, che insegna all'Università Statale di Milano. «Un soggetto mutilato non è critico», ha detto il professore milanese, che ha individuato nell'incontro tra docenti e studenti la condizione previa affinché si desti un interesse tanto per il proprio ambito di studio quanto per tutta la realtà. Da qui, ecco un metodo: l'approfondimento del particolare come apertura al tutto. È la strada, ha detto Di Martino, per avere un università popolata da chimici, matematici e filosofi non solo esperti del loro campo, ma anche capaci di giudicare tutto ciò che entra nell'orizzonte della propria vita, senza tralasciare nulla: dalla crisi economica al terremoto di Haiti.