L'intervento di padre Orechanov (a destra).

EDUCAZIONE A braccia aperte all’ombra del Cremlino

Come possono crescere uomini liberi? Se n’è parlato alla Cattolica con il vicerettore dell’Università ortodossa di Mosca. Più che un convegno, la testimonianza che, a Est e a Ovest, «noi cristiani abbiamo le stesse radici»
Emmanuele Michela

«L’università non deve essere solo un luogo di ricerca e didattica, ma prima di tutto un luogo di educazione». Dove, cioè, possano crescere uomini liberi. Ha aperto così don Stefano Alberto, docente di Teologia all’Università Cattolica di Milano, il convegno “La sfida educativa e la formazione della persona libera”, organizzato dalla Fondazione Russia Cristiana e dall’Associazione Sant’Anselmo venerdì 14 maggio presso lo stesso ateneo. A intervenire davanti a un centinaio di docenti e studenti (tra cui diversi rimasti in piedi), un ospite d’eccezione: padre Georgij Orechanov, vicerettore dell’Università ortodossa “San Tichon” di Mosca. Un rappresentante della più importante istituzione culturale del Patriarcato, ma prima di tutto «un uomo che pone al centro di ogni iniziativa la questione educativa». E «un grande amico», da quando padre Orechanov nel 2007 aveva accettato l’invito a venire al Meeting di Rimini: «In un incontro, ho visto 10mila ragazzi ascoltare un sacerdote (don Francesco Ventorino, ndr) per un’ora intera», ha ricordato. «Lì mi sono detto: non potrebbe succedere anche in Russia?».
All’educazione e all’istruzione religiosa in Russia è stato dedicato l’intervento di padre Orechanov, che ha tracciato un excursus sull’insegnamento della teologia nelle università del suo Paese: «Nell’Ottocento trovava posto tra le scienze politiche e morali. Ma una cosa era chiara: senza la teologia alle università mancava qualcosa, mentre la stessa teologia aveva bisogno di contatti con le altre scienze». La Rivoluzione del 1917 spazzò via qualsiasi progetto di riforma, tanto che per decenni il potere avrebbe controllato seminari e accademie. Fino all’arrivo di Nikita Kruscev e alla nascita addirittura di una cattedra di Storia e teoria dell’ateismo scientifico. Lo scopo era criticare ogni culto, ma successe anche altro: «Accostandosi a questo insegnamento, molti trovarono interesse per le questioni religiose».
Passando quindi alla situazione attuale degli atenei russi, padre Orechanov ha sottolineato: «L’ideale di università coltivato dal cristianesimo ha dato inizio allo sviluppo della cultura europea. Nonostante ci sia un secolarismo aggressivo, ancora oggi in Europa è grazie all’università che c’è un contatto tra cultura e mondo religioso». Affrontando poi la questione dell’insegnamento della religione nelle università statali e nelle scuole medie, padre Orechanov ha posto una domanda decisiva: «Chi parlerà ai bambini della religione? Devono entrare in classe persone adatte. Se offriamo un insegnamento banale, tiriamo su una nuova generazione di atei».
«È incredibile come certi temi, che per noi sono un tabù - per esempio il valore scientifico della teologia -, siano oggetto di un dibattito vivissimo in Russia. Questo ci deve far riflettere», ha sottolineato don Stefano Alberto. Tanto che, al di là di un semplice convegno, quel che è successo è stato qualcosa di più: «Abbiamo potuto toccare con mano i segni di un nuovo inizio. Qualcosa di impossibile qualche anno fa, che adesso è parte della nostra vita quotidiana». Lo testimonia il lavoro di Russia Cristiana: «Le origini del cristianesimo sono comuni, perché prima che in noi sono in Cristo. Non si tratta di censurare le diversità, ma di rispettarle. Se c’è una speranza per l’Europa e per il mondo è in queste radici». Parole condivise da padre Orechanov, che le ha ascoltate annuendo convinto. Per poi aggiungere: «Il prossimo anno continuerà lo scambio di studenti tra le nostre università. Come sarebbe bello che dalla Cattolica ne venissero non due, ma ventidue! Siate certi che ognuno sarà accolto a braccia aperte: alla russa...».