<em> Assunzione di Giovanni</em> (Giotto, Cappella Peruzzi, <br>1320 circa, part.): a confronto il dettaglio visto con <br>i raggi ultravioletti.

FIRENZE La scoperta (casuale) del Giotto perduto

Una mattinata con i restauratori della Basilica di Santa Croce. Armati di occhialini e raggi ultravioletti. Così, la luce, gli spazi e i colori del genio tornano, per un attimo, nel presente. In 3D...
Roberto Filippetti

Nel marzo scorso ne hanno parlato tutti i giornali, ma adesso l’ho visto coi miei occhi: quello che hanno scoperto i restauratori nella Cappella Peruzzi - dipinta da Giotto circa 700 anni fa, in Santa Croce a Firenze - è sbalorditivo.
Grazie all'amicizia con padre Antonio Di Marcantonio, rettore della Basilica, e con padre Eugen Rachiteanu, che dirige lo Studio Teologico, sono salito sui ponteggi delle tre Cappelle in restauro. Una mattinata indimenticabile.

Prima tappa: la Cappella Maggiore, dove Agnolo Gaddi ha affrescato nel tardo '300 la Legenda della Croce, poi "riscritta" un’ottantina d'anni dopo da Piero della Francesca ad Arezzo. Si sale sugli otto piani dei ponteggi e anche lassù, a una trentina di metri da terra, ci sono volti virili coi singoli peli della barba dipinti in punta di pennello, curati fin nei dettagli più minuti. Potente e poetico, Agnolo Gaddi. Colori smaglianti, teneri e dolcissimi. Una cromia restituita al primigenio splendore, come negli altri cicli della Basilica, già restaurati, dipinti da Maso di Banco, Bernardo Daddi, Giovanni da Milano, Taddeo Gaddi. I lavori in Cappella Maggiore dovrebbero concludersi tra pochi mesi, dopodiché è assai probabile che quei ponteggi rimangano a disposizione di coloro che vogliano salire ad ammirare da vicino i dipinti.

Seconda tappa: la Cappella Bardi, ultimo capolavoro affrescato da Giotto, verosimilmente tra 1320 e 1328. Lui - il pittore francescano - torna a squadernare qui le tappe salienti della storia del Poverello, più distesamente narrata una trentina d’anni prima ad Assisi. Quid animo satis? Che cosa basta all’animo? Cosa lo rende satis-factus, soddisfatto, lieto? Alla domanda cara a don Luigi Giussani, sulla scia di padre Gemelli, così risponde papa Benedetto XVI: «Se [Francesco] si spoglia di tutto e sceglie la povertà, il motivo di tutto questo è Cristo, e solo Cristo. Gesù è il suo tutto: e gli basta!». Il Santo Padre pronunciò queste parole il 17 giugno 2007, alla fine dell’Anno francescano, voluto per celebrare l’ottavo centenario della conversione di quel giovane a cui il Crocifisso di San Damiano chiese di andare a riparare la chiesa. Era il 1206 e Francesco - borghese ambizioso, desideroso di gloria, deciso a non rassegnarsi a una vita piatta - fu incontrato da Colui che compie la sete del cuore. «È interessante annotare - osserva il Papa - come il Signore abbia preso Francesco per il suo verso, quello della voglia di affermarsi, per additargli la strada di un’ambizione santa, proiettata sull’infinito». E lui si spogliò di tutto. La Rinuncia agli averi in Cappella Bardi è impressionante: un possente edificio quadrangolare sembra una gigantesca freccia in-segnante questo ragazzo che si è appena denudato e subito ha trovato ricovero sotto il manto del vescovo Guido, azzurro come il cielo, mentre ben tre persone trattengono a fatica il padre carnale Pietro di Bernardone, infuriato, proteso ad aggredire il figlio.
Maria Rosa Lanfranchi, la restauratrice, mi mostra volti di frati che sono evidentemente dei ritratti (curiosamente, c’è anche un frate con baffi e basettoni...). Giotto spazioso, Giotto che dipinge in 3D, qui in Cappella Bardi tocca, da questo punto di vista, il vertice della propria arte. Ma le figure sono allo stato larvale: lo strato di calce con cui sono state coperte nel '700 è stato tolto cent’anni dopo con una tecnica sciagurata: la Lanfranchi mi mostra i colpi della martellina affilata e mi spiega che poi finirono di pulirli con l’acido. Un danno irreparabile.

Terza tappa, la più sbalorditiva. Due ore in Cappella Peruzzi. Le conosco bene queste storie di San Giovanni, tratte dalla Legenda aurea. Le ho raccontate nel mio ultimo libro, Pietro, mi ami tu? E ora le vedo, quasi le posso toccare, quassù sui ponteggi, in piena luce. Anche qui le figure appaiono come larve. Ma poi... succede qualcosa. La restauratrice che mi accompagna è Paola Ilaria Mariotti. Mi arma di occhiali speciali, spegne tutte le luci e comincia ad accostare una lampada agli ultravioletti sui dettagli dei volti, delle vesti, quindi allarga sugli edifici. Vengo risucchiato dentro l’avventura della scoperta: gli ultravioletti tirano fuori maieuticamente le luminescenze della seta, il brillìo degli ori e degli argenti, la plasticità dei volumi. Com’è possibile tutto ciò? Risponde Cecilia Frosinini: «Giotto nella Cappella Peruzzi dipinge a secco ed è proprio per questo che oggi è possibile vedere ciò che non è più visibile sulla superficie pittorica. I raggi ultravioletti, catturando la materia organica (i leganti con cui si componevano i colori: tempera a uovo, caseina o olio), ricompongono nello spazio immateriale della luce i molti e sorprendenti particolari pittorici e compositivi». E aggiunge: «L’immagine delle pitture, molto simili a come erano in origine, surreale quanto suggestiva e preziosa, si svela mostrando in alta percentuale ciò che, pur perduto per sempre, ritorna per un coinvolgente attimo nel presente». I restauri (non ancora iniziati) non potranno riportare le pareti allo splendore originario, ma ciò che gli ultravioletti oggi regalano agli studiosi si potrà un giorno ammirare in riproduzione virtuale. Un solo esempio: l’evangelista Giovanni viene da Gesù assunto in cielo, entro una serie di piatti biancastri filamenti - così paiono alle luci al neon - che con gli ultravioletti si mutano in un cono plasticamente tridimensionale di fili d’oro da cui fuoriesce il volto aureolato dell’ormai anziano "discepolo che egli amava". Avventura della scoperta. «Una scoperta - mi confida la restauratrice - avvenuta quasi per caso». Caso: qualcosa che ad-cade. Il metodo, ancora una volta, è questo.

Per i gruppi che vogliono contattare padre Rachiteanu per visitare la Basilica come scrigno della bellezza cristiana, è possibile contattarlo qui: rachiteanueugen@yahoo.it