"Il fuoco" di Giovanni Colciago.

Come ti racconto il fuoco della vita

Parlare con i quadri e dipingere con la poesia. Ecco la storia dell'artista brianzolo Giovanni Colciago, in arte Giò Fuoco. Che spiega come, con i versi e la pittura, sta riscoprendo se stesso
Niccolò De Carolis

Gli stringo la mano. La prima impressione è che sia una persona timida, anche un po’ impacciata. Poi iniziamo a parlare, gli faccio delle domande. E scopro che ha una voglia matta di raccontare di sé, delle cose che gli piacciono della vita, delle persone a cui è più legato. Siamo andati a conoscere Giovanni Colciago, in arte Giò Fuoco. Forse ne avete già sentito parlare, forse avete letto qualche sua poesia su Tracce o visto qualche suo quadro al Meeting di Rimini.
Ha 40 anni e vive con papà e fratello in una villetta immersa nel verde della Brianza, dove tiene gelosamente la sua galleria di quadri. Ma, prima di appassionarsi alla pittura, ha iniziato a comporre versi, fin da subito (1991) pubblicati su Tracce. «Ho iniziato a scrivere dopo la morte di mia madre, è stato un modo per esternare il dolore», racconta Giovanni. «I primi tentativi sono stati degli scritti molto fragili e pessimistici». Nel ’93 vince un concorso e alcune sue poesie vengono lette in tv dallo scrittore Alessandro Gennari (collaboratore di Moravia e Pasolini), in un programma condotto da Paolo Limiti. Nello stesso anno pubblica su ClanDestino, la rivista di Davide Rondoni. Con lui nasce un’amicizia che l’accompagna e lo sostiene tuttora. «Mi ha insegnato come far venir fuori una poesia. Buttare di getto le parole sul foglio, poi aspettare per lasciarle fermentare e dopo un po’ ritornarci per razionalizzarle». E non è vero che così si perde l’immediatezza: «Anzi, si va a consolidare quell’emozione iniziale». È proprio il poeta bolognese a scrivere le prefazioni dei due libri che Giò Fuoco ha finora pubblicato: Una rosa frustata (Itaca, 2003) e Il treno senza rotaie (Raffaelli Editore, 2009). In una di queste scrive: «Si troverà qui un tesoro di aperture, di veri e propri spalancamenti vertiginosi al fuoco della vita. Come vere e proprie vetrate sul panorama della parte intensa di noi». In effetti, a leggerle con attenzione, alcune poesie colpiscono dritto al cuore della nostra umanità insoddisfatta, come 4 aprile 2009: «Oggi è una domanda / il domani è la sola risposta / di un tempo / che sfocia / nel pianto». Forte è il desiderio di un rapporto che riempia la vita, perché, quando manca, tutto si annebbia: «...Vuoto è il pensiero / senza te aggrappato / il desiderio è smorzato / dal vuoto / dall’insensato / dall’indefinito. / Io e te» (24 marzo 2009).
Da ragazzo frequenta l’ITIS, ma l’unica cosa che lo appassiona veramente sono le materie umanistiche. Preso il diploma, dà il via al suo vagabondaggio nel mondo del lavoro. Inizia come artigiano mettendosi in proprio, poi fa il ferramenta, lo stalliere («I cavalli sono animali fantastici, ti portano tranquillità») e infine il magazziniere in una ditta di tessitura. Ora è in cassa integrazione, in attesa di trovare un lavoro «in cui ci sia possibilità di rapporto con le persone».
E in tutto questo la pittura? Ha iniziato quasi per caso: «Nel 1995 sono stato ricoverato qualche settimana in ospedale e ho cominciato a dipingere per ammazzare il tempo. Sul foglio in cui scrivevo una poesia, buttavo giù le tinte che le parole mi tiravano fuori. Erano delle poesie a colori. Poi, col tempo, versi e pittura sono tornati a separarsi». Dal 2001, gli amici del Meeting di Rimini gli riservano uno spazio per dipingere nel Villaggio dei ragazzi. Sotto lo sguardo attento e curioso dei bambini, Giovanni porta a termine le sue opere per poi esporle nella Hall centrale. Nell’appuntamento di questa estate il compositore Ennio Morricone rimane colpito dall’uso che Giò Fuoco fa dei colori e decide di comprare due tele.
I suoi quadri li definisce «astratti ma anche simbolici, perché contengono numeri, volti, occhi...». Mentre il momento in cui dipinge è fatto «di grande tensione. Io non parto mai da un bozzetto che poi riporto sulla tela: è il bianco che mi parla al momento. Per questo c’è molta agitazione, una pennellata di troppo potrebbe rovinare tutto. L’abilità sta nel fermarsi al momento giusto».
In questi anni Giovanni ha allestito anche diverse mostre nel suo Comune, a Carate. Di fronte ai quadri chiede ai visitatori di lasciare delle impressioni. «A me non interessa tanto che le mie opere piacciano, ma che non lascino indifferenti. Non voglio che uno le veda e basta, voglio che le guardi». Come se lo sguardo rivolto a quei quadri fosse uno sguardo rivolto a lui. «Con la pittura e la poesia sono trasparente. Ed essere me stesso mi fa fare un’esperienza di pienezza e di felicità».