Luca Signorelli, "La predicazione dell'Anticristo", <br>Duomo di Orvieto (1499).

ORVIETO Il sangue, il prodigio e un gruppetto di uomini

Per celebrare il Corpus Domini e la presenza del Corporale di Bolsena, la città umbra ospita il festival Arte e Fede. Un'occasione per visitare il Duomo e gli affreschi del Signorelli. Che ricordano Soloviev e ispirarono Michelangelo...
Roberto Filippetti

Parteciperemo nei prossimi giorni alle processioni del Corpus Domini, guidate dai vescovi, per le vie delle nostre città. C’è un luogo in cui questo gesto ha un sapore tutto particolare: Orvieto. La festa nasce infatti da un miracolo eucaristico di cui qui si custodisce la preziosissima testimonianza: un Corporale macchiato di sangue.
Estate del 1263: un prete boemo, tormentato dal dubbio circa l’effettiva presenza del corpo e del sangue di Cristo nell’ostia consacrata, si era recato in pellegrinaggio a Roma per rafforzare la propria fede. Sulla via del ritorno, a Bolsena, celebrò la messa e al momento della consacrazione vide stillare dall’ostia spezzata delle gocce di sangue che bagnarono il Corporale. Appresa la notizia del prodigio, il papa Urbano IV, che risiedeva ad Orvieto, mandò il vescovo a prendere il sacro lino.
Quindi affidò a S. Tommaso d’Aquino l'incarico di comporre l’Ufficio del Corpus Domini, e l’11 agosto 1264 promulgò la bolla Transiturus, con cui istituì questa festività.
Ma anche ad Orvieto può accadere che ogni anno si partecipi al rito andando sul... tapis roulant. Se ne avvede il vescovo, l’agostiniano padre Giovanni Scanavino, che si chiede: «Da sempre il Corpus Domini coinvolge la città, le sue vie e le sue piazze. Allora perché limitarci ad una solenne processione con il Corpo del Signore e il Sacro Corporale? Perché non rianimare le vie e le piazze con il dramma sacro, con la musica, la poesia, le arti visive?». In altre parole, perché non tentare di ricucire la frattura tra sapere e credere?
È il 2006, e nasce il festival internazionale Arte e fede di Orvieto (fino al 6 giugno, www.festivalartefede.it). Collaborano con il vescovo l’Opera del Duomo, le istituzioni e il Centro Culturale Acil (che in etrusco significa: opera), con il coordinamento di Alessandro Lardani e John Skillen del prestigioso Gordon College di Boston, che qui ad Orvieto ha la propria sede italiana. In questa quinta edizione del Festival, tra gli incontri, le mostre fotografiche, gli spettacoli teatrali e le tante iniziative spalmate lungo quindici giorni, c’è stata anche la lettura del XXXIII canto del Paradiso spiegato da Franco Nembrini, e la mostra su Caravaggio, di cui sono il curatore.
Oltre agli eventi del Festival, bisogna trovare il tempo per attraversare la città sulla rupe, ammirando le sue chiese e soprattutto il Duomo, progettato da Arnolfo di Cambio e voluto dagli orvietani come «la più bella di tutte le chiese del mondo». I mosaici con le storie della Vergine della facciata squillano al sole di fine maggio, facendo perno sul grande rosone ricamato da Andrea Orcagna. Il volto di Cristo, incastonato al centro della rosa, pare irradiarsi verso le statue dei 12 profeti e dei 12 apostoli. Nei trecenteschi bassorilievi dei quattro pilastri marmorei è raccontato tutto l’essenziale per dar senso alla vita: la Genesi, le tappe dell’Antica Alleanza a partire da Abramo, i fatti dell’Incarnazione e della Redenzione, il Giudizio universale. Le storie della Vergine tornano ad essere squadernate nella Cappella maggiore, ove c’è la mano anche del Pinturicchio. Nel transetto di sinistra, sta la Cappella del Corporale, ben visibile lassù, entro il grande tabernacolo di Andrea Orcagna.
Il trecentesco reliquiario - tutto argento smaltato e bulinato - che in origine custodiva la preziosa reliquia del miracolo di Bolsena, ripropone in scala le forme della facciata della chiesa, e racconta su disegno di Ambrogio Lorenzetti, la storia di quell’ostia che stillò sangue, la stessa affrescata sulle pareti, entro il grande abbraccio della Passione, Crocifissione, Deposizione e Risurrezione di Gesù, poi degli altri prodigi eucaristici accaduti lungo i secoli. È su questo fondamento che si vive la vita come militia, nella prospettiva della speranza certa: questo dice il capolavoro di Luca Signorelli - affrescato giusto cinque secoli fa - nella Cappella Nova che sta dirimpetto a quella del Corporale. In verità i lavori erano stati affidati al Beato Angelico, che però - dipinte le due vele della volta nel 1447 - era stato chiamato a Roma. Tutto resta fermo per cinquant’anni, fino all’arrivo di Signorelli.
Un ciclo di affreschi, il suo, all’insegna dell’antitesi escatologica: paradiso e inferno; speranza e tragedia; ascesa degli eletti alla destra di Cristo giudice, precipizio dei dannati alla sua sinistra. Splendida, poi, la scena con la Resurrezione della carne, a cui evidentemente si ispira Michelangelo nella Cappella Sistina; ma lo sguardo, oggi, si sofferma a lungo su un altro concitato episodio, che illustra l’apocalittica Venuta dell’Anticristo. Questi - torvo sosia di Cristo, con due ciuffi di capelli che s’inarcano sulle tempie quasi a celare piccole corna - con la mano destra «addita se stesso come Dio» (2 Ts 3-4), mentre la sinistra indicante la terra appartiene sia a lui che al cornuto diavolo-suggeritore che sta alle sue spalle. Egli si erge su un piedistallo attorniato dalle ricchezze del mondo e seduce le folle, inducendole al male: c’è l’usuraio con la borsa del denaro; c’è in primo piano la bionda prostituta che prende il compenso; c’è l’omicida che calpesta la faccia di colui che sta strangolando, lì sulla sinistra, sotto gli occhi delle due figure in nero: il Beato Angelico e il Signorelli, pittore-narratore che ci guarda e ci invita a guardare.
Giusto al centro dell’affresco, l’Anticristo è ancora in azione, da benefattore dell’umanità che si china a guarire un moribondo tra devoti adoratori. Ma sulla destra eccolo di nuovo ergersi sul piedistallo a sorvegliare l’esecuzione capitale di chi gli si oppone. Più in là sciamano, buie e inquietanti, figurine di armigeri, ai piedi di un tempio pagano che funge da possente fondamento alla torre di Babele che si slancia tracotante verso il cielo. Il Male ha dunque vinto? No. Lassù in cielo l’arcangelo Michele impugnando la spada a due mani sconfigge il Maligno: «Colui che seduce tutta la terra, fu precipitato sulla terra» (Ap 12,9).
Ciò che però profondamente mi commuove è quel gruppetto di cristiani - giusto dodici - che si stringono in rocciosa unità. Un domenicano tiene il libro aperto, un camaldolese indica la vittoria di Michele su in cielo; poi altri frati, monaci, christifideles laici. Un piccolo popolo che mi ricorda i Dialoghi dell’Anticristo di Vladimir Soloviev. Un resto d’Israele a cui l’Anticristo così si rivolge: «Che cosa posso fare ancora per voi? Strani uomini! Che volete da me? Io non lo so. Ditemelo dunque voi stessi, o cristiani, abbandonati dalla maggioranza dei vostri fratelli e capi, condannati dal sentimento popolare; che cosa avete di più caro nel cristianesimo?» Allora, simile a un cero candido, si alzò in piedi lo starets Giovanni e rispose con dolcezza: «Grande sovrano! Quello che noi abbiamo di più caro nel cristianesimo è Cristo stesso. Lui stesso e tutto ciò che viene da Lui, giacché noi sappiamo che in lui dimora corporalmente tutta la pienezza della Divinità».
C’è oggi questo popolo che sta - consiste - sulla roccia di Pietro. Non prevalebunt.

(Per visite guidate a Orvieto e alle altre città dell’Umbria: francesco.vignaroli@gmail.com)