La locandina del film-documentario.

Ed io (di) chi sono?

Il 25 agosto, al Meeting sarà proiettato il film-documentario del regista bolognese sulle Famiglie per l'Accoglienza. Che racconta cosa l'ha mosso, alla ricerca di «quel bene con il cellulare sempre acceso». Ecco le sue note di regia e il trailer
Emmanuel Exitu

La prima idea era partire dal “prodotto finito” (i ragazzi accolti che raccontassero ormai grandi la loro storia), risalir “li rami” e poi riscender le radici e finalmente scandagliar chi fece - e rifece - la scelta: le mamme e i papà.
Ma, di pellegrinaggio in pellegrinaggio da una famiglia all’altra, qualcosa scalciava sempre più forte contro quella che sembrava l’idea giusta. Poi a Modena, in una chiarissima mezzanotte d’inverno, mentre salutavo dall’autostrada un amico passando accanto ai suoi resti mortali, lui da padre e chirurgo m’ha dato una strigliata di grazia facendomi notare che non stavo incontrando singole tessere d’uno sparso mosaico genealogico (figli / genitore / altro genitore / coppia / tutt’insieme), ma incontravo degli interi già all’inizio, già la prima volta che mettevo piede in casa loro. Erano mosaici già ben chiari e formati e uniti, seppur continuamente evolventi: erano famiglie, quelle che incontravo.
È l’idea visivo-narrativa del documentario: tuffarsi nell’intero. Incontrare famiglie intere, entrare nelle loro storie normali, nelle loro auto normali, nelle loro cucine normali, nei loro occhi normali. Da qui, una cascata: mia sorella maggiore, Flannery O’Connor, che per anni si prese cura di me imboccandomi assiduamente per ricostruirmi anima e occhi prosciugati dalla malattia, ha ripreso a ripetermi che è il materiale a dettare le regole della sua esecuzione, che l’atto creativo è soprattutto obbedire a ciò che racconti. Quindi mi son buttato dentro e, pur stramaledicendo i ben assodati limiti soggettivi (me stesso) e oggettivi (budget e tempo), è venuto fuori un documentario verticale che si tuffa dentro le scelte e dal profondo tira su quanto più bottino possibile. Per rendere felice il committente, e incassare il compenso. Missione compiuta.
Ma, io, cosa cercavo?

Non è sbandierato in didascalie scritte o verbali. (Sempre Flannery m’insegnò che Henry James odia, a ragione, chi maneggia troppo direttamente il proprio materiale perché macchiandosi della suprema e schifosa colpa di credersi “padrone del vapore” - e quindi perdere contatto col Mistero che fiammeggia perenne dentro il materiale - fa pagare un conto salatissimo: la noia). Ma per ragioni mie, urgentissime e antichissime, volevo toccare, o almeno annusare, il materiale di cui siamo fatti: cos’è quell’argilla che un bel giorno Dio prese dal nulla per modellarsi qualcosa di così stupefacente come noi? Con che forza ci tiene insieme e non ci fa perdere pezzi in giro? È la forza intrattabile e intollerante e interminabile di un bisogno: non già quello di “essere qualcuno”, come ossessivamente ogni giorno ogni dettaglio del mondo moderno soffia nelle nostre orecchie complici da mattina a sera, ma il bisogno di “essere di qualcuno”. Perché non si lotta, non si soffre e non ci si sbatte così tanto, non si sputa così tanto sangue, ogni santissimo giorno, se non per trovare qualcuno che dica: «tu sei mio, sei mio per sempre». Solo quando scopri che sei di qualcuno (finalmente! che bello! che festa!) cominci a essere qualcuno. E trovare chi vuole solo il tuo bene - evento rarissimo - ti trasforma in una centrale nucleare che non si spegne mai. (Altro fatto è la nostra cattiveria stupida che arriva a fuggire quest’amore, addirittura: ma è mistero doloroso che merita d’esser trattato con l’altro vestito della festa, in apposita arena).

E quando si accetta quest’amore e si ama senza condizioni, senza trucchi, senza censure? Che succede tra il nostro Dna e quello della persona amante&amata? Succede qualcosa d’impossibile e grandioso: si uniscono, e non si staccano più. Nell’amore che vuol essere totale, si è uno e si fa di tutto per essere uno con l’amato, e perciò col mondo intero. Ma diventare uno è azione&reazione irreversibile, botta&risposta divino-umana, non può esser meno dell’atto d’un Dio che decide di farsi massacrare il Figlio peggio d’un cane schifoso solo perché mi vede così perfettamente incapace d’amore e così infinitamente capace d’odio (incarnandosi, s’è messo nella condizione di non poter più tornare indietro: «E che devo dire? Padre, salvami? Ma è solo per questo che sono giunto a quest’ora!», Gv 12, 27). Quell’amore succede, raramente ma ovunque: tra uomo e donna, tra genitore e figlio, tra amico e amico, tra cuore e mondo (ma il gratis dell’amore l’ha inventato Dio, l’ha inventata lui la parola nuova che lo dice, carità, detiene Lui il copyright di questa specie perfetta d’amore, anzi l’unica specie d’amore, e solo Lui la permette: tutto protocollato e memorizzato in più registri cartacei e viventi, sotto il nome di Gesù Cristo). Anche se poi per viltà e pigrizia e cattiveria e mutismo si potrà certo negare, volentieri dimenticare, magari odiare l’unità che ci prese e ci tiene, le molecole inedite non si staccheranno mai più. Se si staccano, sarà solo finimondo: se uomo e donna - modo per dire: chiunque - non fanno niente contro la guerra che per natura sempre s’innesca tra uomo e donna (e in chiunque: altrimenti nessuno si sarebbe preso la briga di fondare nientemeno che la Chiesa, e molti sacramenti dedicati); se uomo e donna da uno che sono tornano i due che erano (senza differenza tra guerra a bassa o alta intensità: o separati in casa nel mutismo di reciproca incuria, o lontani nell’odio omertoso, o divorziati nel grido complice e vuoto; tutti naufragi che hanno purtroppo il sigillo ultimo nel buio che trabocca e affoga il cuore d’una donna che strappa da sé il figlio che ha dentro - ma dopo averle salvato il figlio è per lei che Dio si fa carne morta e risorta, è lei che Dio ama e aspetta: e se non lo fa Lui ora, chi mai potrà farlo?); se uomo e donna s’arrendono all’odio scateneranno un’esplosione nucleare molto più terrificante d’Hiroshima, e stermineranno migliaia di persone oltre loro, e renderanno inabitabile la terra per chilometri e chilometri intorno a loro, e per secoli faranno più difficile la vita in loro e nel mondo. E perderanno la faccia.

Mamma Giusy racconta il diventare uno nell’episodio finale: dopo un affido durato pochi mesi che l’aveva martoriata nel distacco, nell’affido successivo cercò di difendersi dal legame con la nuova bambina promettendosi d’esser una dada amorevole, ma non la mamma. Neanche tre mesi e se l’è trovata dentro: «Perché entri! È come entrare nel suo cuore, e lei nel mio». Non sa spiegarsi perché, ma lo dice con la stessa faccia d’una donna che scopre d’esser incinta: la stessa botta di felicità, di sorpresa, di desiderio tremante di futuro che quella vita sia felice per sempre, anche se nessuno - oltre Dio - potrà mai immaginarsi come. È la pura e semplice fisiologia dell’esser padri e madri che non avviene mai per via di carne e sangue ma sempre e solo per via d’anima e cuore (evento notissimo a tutte le psicologie: la carne e il sangue non bastano mai, e del resto noi siamo e abbiamo solo e soltanto un corpo). Incinta, ovvero: è tuo. Un pezzo di te che però non comandi te, non controlli te, non gestisci te. Nel tempo e nella lealtà, amando scopri che nemmeno il tutto di te è tuo, non comandi tu, non controlli tu, non gestisci tu.
E allora, questo mio io, se non è mio, di chi è?

Amando, qualcosa ti risucchia al centro di te dove sul trono scopri il vero Re, “più me di me stesso” (Agostino docet). Scopri che la vera star sei tu, non il tuo ego (c’è abissale differenza), e che “un cuor solo e un’anima sola” è l’unico modo di vivere ogni rapporto con ogni altro, ogni tutto, compreso sé. Allora si prende e si parte e s’abbraccia il mondo senza più timori, finalmente, perché essere amati allarga certo il cuore, ma poi allunga anche le braccia. Tutto diventa tuo per sempre. Senza cantar vittoria, però, perché non si può mai scordar che l’altro, prima d’esser dentro te, era e rimane anche fuori (e se per viltà o pigrizia o cattiveria o mutismo lo scordi, l’altro prima o poi lo ricorderà in modi più o meno esplosivi). Dir fisiologia dell’esser padri e madri non significa però aver detto tutto. È solo un termine preciso, utile a dir “come è fatto” l’accogliere, ma non dice nulla sul “come vive e cresce” l’accogliere. A cose già fatte, starà a noi accettare o no il legame che ci tiene e tutte le conseguenze che si tira dietro: prima estetiche-ontologiche e poi morali dato che l’etica nasce dalla Bellezza che t’incrocia e t’ama (barbarico e piatto ribalbettìo di molti e definitivi e magnifici esorcismi di padre Giussani, che ringrazio felice, contro tutta la paralizzante e logorante e mortificante fuffa poeticista e/o moralista e/o teologicista di santoni tromboni; come Dante e molto ma molto più di Shakespeare, per lui contenuto e stile sono indissolubili parti dell’indissolubile unità dell’essere).
Storie di famiglie normali dimostrano che «yes, we can» senza nemmeno esser santi né eroi né navigatori né poeti né profeti né presidenti degli Stati Uniti d’America.

N.B. Quando accade, il bene è indistruttibile e irrevocabile (abissale differenza col male). Perciò è sempre reperibile: cellulare sempre acceso, porta sempre aperta, mangiare sempre pronto: è Amore. Quindi è geloso, gelosissimo, odia esser confuso con altri, odia il plurale e la minuscola: gli “amori” non esistono, e men che meno il tanto celebrato “amore”, sono solo essudato di paure, febbrili e vicendevoli offerte di surrogati, idoli e feticci muti e alibi scaltri e perpetue scusanti per farci fare tutti i nostri porci comodi. Sono solo balle, fatte d’un nulla meticolosamente intarsiato di parole vuotate ventiquattr’ore su ventiquattro, sette giorni su sette.
L’Amore invece è tutto e subito singolare, ci tiene moltissimo al posto che gli spetta, cioè tutto, e se lo prende. E infatti quando arriva chiunque lo riconosce, anche chi non l’ha mai visto prima: «È lui!» dice subito, appena lo vede. Allora non c’è più paura perché l’Amore torna, torna sempre.
Con la sua faccia, “inconfondibile”, e la maiuscola al posto giusto. Buona visione.
(E grazie a Julián e Rose che aprono la porta su tutto, ci tengono sempre il piede in mezzo, mi spingono dentro).

Il film-documentario La mia casa è la tua. Volti e momenti dal mondo dell'accogliere sarà presentato dal regista Emmanuel Exitu e da Marco Mazzi, presidente di Famiglie per l'Accoglienza, al Meeting di Rimini (mercoledì 25 agosto, ore 19, Sala A4)

LA MIA CASA È LA TUA. Volti e momenti dal mondo dell’accogliere
Italia 2010; durata: 60’
Soggetto, sceneggiatura, regia: Emmanuel Exitu
Produzione esecutiva: Wide Eyes Project - lastelladeire@libero.it