Italo Calvino.

ITALO CALVINO «L'umano arriva dove arriva l'amore»

Venticinque anni fa a Siena, moriva lo scrittore italiano. Il suo approccio scientifico alla realtà, la poderosa fantasia e il registro coinvolgente l'hanno reso celebre. Resta il rammarico di non averlo incontrato...
Alessandro Banfi

C’era una volta uno scrittore che ci diede il gusto di leggere Ariosto, di raccontare una fiaba, di sognare un’intera esistenza su un albero. Ma anche di scrivere la prosa in endecasillabi. Si chiamava Italo Calvino, nome affascinante ed autentico nonostante le apparenze. È morto venticinque anni fa in un ospedale di Siena, lasciandoci il disagio di non aver letto abbastanza della sua arguta letteratura. Della sua critica letteraria, ma anche della sua narrativa. E qui non si vuol dare un giudizio di valore, giudizio che tanto tempo non ha chiarificato e che divide i critici. Fu un grande, ma fra i minori del Novecento, per citare ciò che scrisse il grande Geno Pampaloni quando morì? Oppure è un genio assoluto anti-manzoniano, come sostenne Goffredo Parise, in una visione certamente condivisa ancora oggi dal suo amico Eugenio Scalfari, fondatore de la Repubblica?
Difficile entrare in questa disputa con una opinione definitiva. Per me, lettore appassionato, Calvino è innanzitutto un amante della parola e del meccanismo narrativo. Un autore razionale e illuminista, sempre alla ricerca della verità, quasi scientifica. Un empirista, per cui i sensi contano, quando spalancano all’immaginazione. Prima e nonostante ogni teorizzazione e sovrastruttura. Come i suoi genitori amarono la natura attraverso la botanica, così fin da giovane lui scopre nel linguaggio e nel racconto la chiave, quasi scientifica, per redimere la realtà, per attutirne i dolori ed evitarne le trappole. Per cercare, nella nostra vita labirintica e oggettivamente ironica, il percorso per arrivare alla compiutezza. Passando attraverso il neo realismo de Il sentiero dei nidi di ragno alla favola urbana del Marcovaldo. Con Calvino si va sulla luna, come accade con l'Ariosto, ma si attraversa anche la storia, come capita con Manzoni.
Certo, l'impressione è che tanta letteratura in lui tenga lontana la vita. Quella violenta e vera di tutti i giorni. Ma non è così. Dall'apparenza algida, dalla leggerezza ariostesca si passa a volte ad un registro autenticamente coinvolgente ed emotivo che centra la questione. Scrive ne La giornata di uno scrutatore: «L'umano arriva dove arriva l’amore». Ed è davvero così: il suo approccio razionale, scientifico alla realtà, convive con una poderosa fantasia. Si risolve nell’immaginazione. Il suo apparente distacco emotivo non cancella il cuore, ma anzi lo ripropone spesso come istanza ultima al termine di un tragitto. Come accade per tutti i geni (Calvino insieme a Primo Levi è lo scrittore italiano del Novecento più conosciuto al mondo), il suo racconto alla fine pone una domanda sulla verità. La sua ricerca, basti pensare alla raccolta stupenda delle Fiabe italiane, arriva a porre la questione dell’identità dell’uomo e del suo paragone col destino. Il suo oscillare fra prosa e poesia (persino nel suo Se una notte d'inverno un viaggiatore) porta al nocciolo duro della narrazione e della lingua. Ed al fondo di essa, come nei primi versi della Genesi e del Vangelo di Giovanni, c'è una profondità e una luce che riguarda il rapporto misterioso e insieme storico fra essere umano e Dio. Come per Primo Levi ci resta il rammarico di non avergli parlato, di non averlo incontrato o fatto incontrare con qualcuno che potesse comunicargli davvero l’unica storia che conta. La grande narrazione che oggi ci salva. Ma questo vale per tutti, tutti i giorni. Persino per noi stessi e per il nostro vicino di metropolitana, che sentiamo estraneo e a cui non abbiamo il coraggio di dire: vieni e vedi, l’allegria c'è in questo mondo.