Francis Bacon, <em>Autoritratto</em>.

Il compito dell'artista? Svelare qualcosa di me

La mostra milanese di Maurizio Cattelan fa riaccendere il dibattito sul ruolo dell'arte: ha una missione sociale o la sua responsabilità è di altro tipo? Per capirlo, proviamo a fare i conti con «due giganti del Novecento»
Giuseppe Frangi

Complice (anche) la mostra milanese di Maurizio Cattelan, sui giornali è riaffiorata una domanda che tendiamo a dare un po’ per scontata, quando si parla di artisti contemporanei. Esiste una responsabilità sociale dell’arte? Insomma, l’artista ha dei doveri, un compito, in qualche modo “una missione da assolvere” nei confronti della società a cui si rivolge? Rispondo provocatoriamente dicendo di no. L’arte ha un’altra responsabilità: quella di “rispondere” alle domande che riguardano la radice dell’essere.
Faccio un esempio, per rendere più chiara l’idea. I due artisti che più passa il tempo e più si affermano come i due giganti del secondo Novecento, Francis Bacon e Alberto Giacometti, non si sono mai fatti nessun problema sulla ricaduta sociale delle loro opere. Semplicemente sono stati fedeli a loro stessi e al bisogno vertiginoso di cogliere il mistero dell’essere dentro una società che chiudeva tutti gli spazi al Mistero. Bacon e Giacometti però, così facendo, sono stati artisti di enorme rilevanza sociale, perché per primi e senza timori hanno colto il dramma di quella «Chernobyl antropologica» che avrebbe investito l’uomo di fine millennio. Le immagini che hanno prodotto hanno portato allo scoperto una condizione (Bacon) e un’attesa (Giacometti). Hanno svelato il meccanismo che aveva investito e svuotato l’uomo. Come dice don Giussani: «L’organismo strutturalmente è come prima, ma dinamicamente non è più lo stesso. Vi è come un plagio fisiologico operato dalla cultura dominante».
Bacon e Giacometti sono stati due grandi solitari, scontrosi e spesso asociali nei loro atteggiamenti. Non hanno risposto a nessuna delle chiamate civili o culturali che la società lanciava. Eppure, andando al fondo alla verità di se stessi, alla fine hanno restituito un messaggio di vera rilevanza sociale. Hanno messo l’uomo davanti alla sua condizione. Hanno rilanciato in modo drammatico e tranchant la domanda che sta poi alla base di ogni possibile consesso sociale: quella sul destino. Il loro modo di essere “sociali” è quello di essere stati testimoni fedeli della propria inquietudine e della propria ansia di verità.
Oggi, con il nuovo Millennio, l’arte tende a scansare questa grande sfida lanciata da Bacon e Giacometti. Magari siamo davanti ad un’arte “socialmente corretta”, ma è un’arte svuotata dalla sua capacità di rischiare, di esporsi per comunicare all’uomo la tensione di una condizione o di un’attesa.
Se poi si vuole parlare nello specifico di Cattelan, dirò - consapevole di trovare poco consenso - che questo artista, in fondo, è molto più serio di quanto la vulgata mediatica non voglia fare apparire. La sua rappresentazione del Papa colpito dal meteorite, solo, nell’immenso spazio delle Cariatidi, abbarbicato al pastorale con la Croce, è un’immagine dirompente del dramma della Chiesa in rapporto al mondo aggredito dalla Chernobyl antropologica. Come sempre il suggerimento è di non fermarsi agli stereotipi, ma giudicare dopo aver visto e toccato con mano...