Cerano, <em>La crocefissione coi santi<br> Giacomo, Filippo e Francesco</em> (1625)

IN MOSTRA L'Eterno nelle opere del Sacro Lombardo

Fino al 6 gennaio è esposta, al Palazzo Reale di Milano, la mostra "Sacro Lombardo. Dai Borromeo al simbolismo". Dalle tele di Cerano, il pittore della peste, alle opere di Tiepolo e Hayez, ecco il racconto di tre secoli di inspiegabile ricchezza
Marina Mojana

Nel 1613, mentre il bolognese Giulio Cesare Procaccini dipinge a Milano la grande tela con la Madonna, il Bambino e i santi Latino e Carlo Borromeo (Brescia, Santuario di Sant’Angela Merici), il vescovo Francesco di Sales prega sulla tomba di san Carlo Borromeo e lo ringrazia per avere miracolosamente guarito Francesca di Chantal, che tre anni prima aveva fondato con lui l’ordine religioso delle Visitandine di Annecy.
Cento anni dopo, proprio nella città dei Borromeo, si apre nel 1713 un monastero di Visitandine in via Santa Sofia, nella sede dell’antico Conservatorio e Luogo Pio voluto anni addietro dal santo arcivescovo. A ricordare ciò e a dire che dove c’è fede, anche la vita e l’arte si intrecciano in gesti d’amore e di bellezza che sfidano il tempo, si è aperta il 6 ottobre la mostra Sacro Lombardo. Dai Borromeo al Simbolismo, in corso a Palazzo Reale di Milano fino al 6 gennaio (catalogo 24 Ore Cultura- Gruppo 24 Ore).
Ancora oggi, nel parlatorio del monastero della Visitazione, si legge questo motto di san Francesco di Sales, capace di conferire senso pieno a un’intera esistenza: “A chi Dio è ogni cosa/ il mondo è un nulla”, «Non si tratta di disprezzare il mondo - precisa a Tracce.it monsignor Franco Buzzi, Prefetto dell’Ambrosiana e curatore, con Stefano Zuffi, della mostra -, ma si tratta della consapevolezza che solo l’Eterno regge e salva ciò che è caduco e che non basta da sé, in sé e per sé». Una consapevolezza da santi, frutto di un lavoro quotidiano contro la distrazione, contro il lamento e la tristezza, in un esercizio continuo di gratitudine, che come il respiro ci fa vivere e ci fa uomini.
È con questo cuore paziente che suggerisco di entrare in mostra, un evento ideato per fare memoria di una lunga tradizione di arte sacra in Lombardia, terra che nel XX secolo ha generato tre grandi papi: Achille Ratti da Desio (Pio XI), Angelo Roncalli da Sotto il Monte (Giovanni XXIII), Giovanni Battista Montini da Brescia (Paolo VI).
Dal 1610, anno di canonizzazione di Carlo Borromeo, fino al 1922, anno di elezione al soglio pontificio di Pio XI, la storia dell’arte e della chiesa milanese vanno di pari passo e la mostra le racconta: più di tre secoli in cinque tappe, 61 opere d’arte in 12 stanze con una sala, rivestita di rosso cardinale, interamente dedicata alla vita, all’immagine e al culto di Carlo Borromeo, con tele di Cerano, Morazzone, Tanzio da Varallo e un bellissimo Alessandro Magnasco restaurato per l’occasione. Peccato, però, che la Madonna dei gigli (1894) di Gaetano Previati, scelta dai curatori per rappresentare la stagione simbolista e per chiudere cronologicamente il percorso della mostra, non abbia ottenuto il permesso dalla Soprintendenza di lasciare la Galleria d’Arte Moderna di via Palestro, sua sede abituale.
Non pochi i capolavori che mi sono rimasti negli occhi. Due sono di Giovanni Battista Crespi detto il Cerano, il pittore della peste scoppiata al tempo dell’arcivescovo Federico Borromeo: La crocefissione coi santi Giacomo, Filippo e Francesco (1625), davanti alla quale imparano a pregare ancora oggi i giovani seminaristi del Seminario Arcivescovile di Seveso e la Creazione di Eva (1628), una splendida tempera a grisaille (monocromo), proveniente dalla Veneranda Fabbrica del Duomo di Milano e servita da modello allo scultore Gaspare Vismara per scolpire nel marmo, tra il 1635 e il 1645, il portale centrale del Duomo.
Nel Settecento passano da Milano due grandi interpreti della pittura: il ticinese Giuseppe Antonio Petrini, autore dell’Addolorata (1750), giunta in mostra dalla Pinacoteca Cantonale Giovanni Zust di Rancate (Svizzera) e il veneziano Giovanni Battista Tiepolo, che nel 1759 firma la grande pala d’altare San Silvestro che battezza l’imperatore Costantino per la chiesa parrocchiale di Folzano (Brescia) poi depositata al Museo diocesano di Brescia. Infine l’Ottocento milanese è il secolo dominato dal veneziano Francesco Hayez, dal cremonese Giuseppe Diotti, dai bergamaschi Enrico Scuri ed Giacomo Trécourt. Di quest’ultimo, che fu maestro di Faruffini lo scapigliato, colpiscono il purismo formale e la delicatezza d’animo con cui narra l’apparizione dell’Immacolata Concezione (1842), dipinta per la chiesa parrocchiale di Adrara (Bergamo) molto prima che Pio IX ne proclamasse il dogma (1854).

Orari d'apertura: lun 14.30-19.30; mar-dom 09.30-19.30; gio e sab 09.30-22.30;
Ingresso: 9 €, Ridotto: 7,50 €
Tel: 02 542756