Eugenio Montale.

Volti che guardano “più in là”

Al Teatro Dal Verme, tre grandi attori portano sulla scena Leopardi, Pascoli e Montale. E nasce un ciclo d'incontri per scoprire che le loro intuizioni parlano anche di noi. Nelle circostanze di ogni giorno
Niccolò De Carolis

La poesia è «volontà di non scambiare l’essenziale con il transitorio», scriveva Eugenio Montale nelle Confessioni. Trentacinque anni dopo, dice Uberto Motta, docente di Letteratura italiana alla Cattolica di Milano, «la crisi economica, i progressi della scienza medica e le tante sfide del nostro tempo rendono più urgente che mai la domanda sulla nostra identità», facendo venire a galla, quasi in modo prepotente, il bisogno della gente di ritornare a quell’«essenziale» di cui parlava il poeta ligure.
Così il professor Motta e il Centro culturale di Milano hanno messo in piedi un ciclo di incontri: “Più in là. I tratti inconfondibili del volto umano nella città contemporanea”. Tre appuntamenti al Teatro Dal Verme: il primo, lunedì 15 novembre, dedicato a Giacomo Leopardi; gli altri due, invece, avranno come oggetto di studio Giovanni Pascoli ed Eugenio Montale. Che cosa accomuna questi tre grandi autori? «La siepe di Leopardi, il nido di Pascoli e il muro di Montale vogliono rappresentare la stessa cosa: la prigione del quotidiano, il limite della realtà», spiega Motta. «Tutti e tre, però, si sporgono oltre questo confine, avvertendo, con quelle antenne che solo i poeti hanno, la presenza di qualcosa che sta “più in là”». Nel ’49 Montale scriveva sul Corriere: «L’uomo è un essere incompleto. È proiezione verso l’Essere».
Non saranno tre lezioni in stile accademico. Innanzitutto perché i testi in prosa e le poesie (alcune delle quali poco note e poco studiate) verranno lette da attori teatrali: Massimo Popolizio interpreterà il poeta di Recanati, Sandro Lombardi l’«amatissimo» Pascoli, mentre Franco Branciaroli farà rivivere i versi dell’autore de I limoni. Commenteranno le letture non esperti del settore, ma persone interessate alla tradizione letteraria perché impegnate con quei problemi e quelle domande che la realtà di tutti i giorni pone. Mario Calabresi, direttore della Stampa e Alessandro D’Avenia, scrittore e professore di liceo. Poi un sacerdote, don Massimo Camisasca, un poeta, Davide Rondoni, e Luisa Muraro, filosofa e scrittrice.
«L’intento non è uno scrutinio filologico o un ripiegarsi nostalgico verso il passato», conclude Motta: «La questione è capire quale aiuto può ancora arrivare da questi tre maestri. Possiamo imparare da loro a guardare la realtà? Sono ancora capaci di educarci a stare di fronte alle circostanze, anche difficili, che riempiono la vita di tutti i giorni?».