Gianni Morandi tra Belén Rodríguez ed Elisabetta <br> Canalis.

Se un poeta legge Sanremo

Amori fuorilegge. Relazioni mancate. E anime scorticate. Da Max Pezzali che vuole sterzare alle «favole vuote» degli altri, un giovane scrittore ci "racconta" i testi delle canzoni in gara. Tic e bellezze del nostro tempo
Alessandro Rivali*

Dicono che la città senza poeti sia triste come nessuna, che non ci sia poesia nel nostro tempo ultrarapido. Dicono, infine, che i cantanti abbiano ormai rubato la scena (e forse l’anima) ai poeti, che li abbiano pugnalati alle spalle.
Da scrittore in versi (ci vuole pudore a dirsi “poeta”), non mi sono mai sentito “derubato” da un cantante, né ho trovato schegge sulla schiena.
La poesia continua a vivere, carsicamente riaffiora, come sempre riaffiora il desiderio. Basterebbe rivedere lo splendido Le vite degli altri (2006) di von Donnersmarck, per rendersene conto. Il film è una potente metafora: un aguzzino senza scrupoli della Stasi (il bravo e sfortunato Ulrich Mühe), cambia vita perché tocca l’esistenza di uno scrittore. L’incontro con un poeta è sempre fulminante.
Quello che è altrettanto certo è però che oggi la musica ha una “presa a terra” più immediata e, specialmente per i ragazzi, è forse l’espressione artistica cui dare del “tu”, cui affidare le frequenze del cuore.
Allora, anche la “liturgia” sanremese diventa un osservatorio privilegiato per interpretare tic e colori del nostro tempo. Bisogna sorvolare sulla schiuma (le bellissime Ely e Belen, il Morandi “collante” di generazioni, la comicità non sempre ridens delle Iene) e concentrarsi sui testi delle quattordici canzoni dei Big.
A prima vista traspare che il nostro acquario è inquinato, che si vorrebbe una realtà di relazioni autentiche: «Occhi che sognano giorni di libertà / una speranza che sembra un’eternità» (Albano, Amanda è libera), «non recuperare ti prego / tanto più parli e ancora meno ti credo» (Anna Tatangelo, Bastardo), «tu sei un’altra illusione […] tu sei la solita illusione» (Patty Pravo, Il vento e le rose), «io vivo ai margini di una vita vera / e non mi riconosco» (Luca Madonia con Franco Battiato, L’alieno). Insomma, terra bruciata alla Cormac McCarthy, ma senza stelle.
Personalmente ero curioso di ascoltare Il mio secondo tempo di Max Pezzali. I suoi motivi gasanti e un po’ tutti uguali hanno accompagnato i trentenni di oggi tra campi di calcetto, birra e l’asfalto dell’Europa. Ascoltare Max è come vedere un vecchio film tra vecchi amici. Ha raccontato nel suo minuscolo mondo pop il mito della strada e un po’ di orizzonte (Rotta per casa di Dio, Torno subito). Il protagonista della sua orecchiabilissima canzone è nel “mezzo del cammin”. Ha svuotato la prima metà della clessidra. Vuole una sterzata, fare, finalmente, le cose giuste: «Ho superato la metà / del mio viaggio e mi devo sbrigare / che c’è il mio secondo tempo e non voglio perderlo […] io spero tanto che sia splendido». Max sa ancora sognare, anche nell’era dello spreco: vuole «buttare quello che fa male / o perlomeno buttare quello che non vale». C’è lo spazio per una conversione.
Solo un appunto al Nostro: per cambiare non c’è bisogno di aspettare la carta d’identità ingiallita e l’arrivo della stempiatura. L’“ora di scegliere” (bene) si può anticipare. Anni fa Mondadori lanciò un libro che riassumeva la vita di molti quarantenni: s’intitolava È vent’anni che ho vent’anni… Quasi un manifesto della surfing generation che mai vuole impegnarsi (magari amando)…
Barbarossa-Del Rosario duettano d’amore con Fino in fondo. La canzone è avvolgente e i due sono affiatati. Però finiscono dove Max inizia: «Voglio … fare quello che mi va… disarmare la mia mente». Certo, anche loro notano che il mondo di oggi è una giostra continua, se manca un orizzonte di senso (l’unica cosa che conta secondo Viktor Frankl), però è un po’ poco. L’ha capito anche Anna Oxa ne La mia anima d’uomo quando lamenta «questo posto è un assurdo deserto […] questo posto è una favola vuota».
Una nave che cambia rotta è la storia raccontata da Emma e Modà (Arriverà): «E cambierai la tristezza dei pianti in sorrisi lucenti». Musica tradizionale, un po’ sulla scia delle Vibrazioni, ma per loro la pioggia diventa sole (e pare che sia il pezzo più scaricato su iTunes); vincono alla grande il confronto con l’amore carnale e “fuorilegge” di Giusy Ferreri (Il mare immenso).
È alterno e un po’ già visto l’amore civile di Vecchioni (Chiamami ancora amore). Un pizzico di satira scontata: «Per il poeta che non può cantare / per l’operaio che non ha più il suo lavoro / per chi ha vent’anni e se ne sta a morire» e un pizzico di sogni con apertura all’alto: «Perché le idee sono come le stelle / che non le spengono i temporali / perché le idee sono voci di madre / che credevano di avere perso, / e sono come il sorriso di Dio». Comunque nulla a che vedere con il claustrofobico La Crus: «Non credo nel peccato, amore mio / perché non credo in Dio» (Io confesso).
Tricarico è apparso più scarico rispetto a qualche anno fa (Vita tranquilla, 2008). La sua 3 colori è una marcetta furba (siamo pur sempre nel 150° dell’Unità), ma vuota. Manca una storia, anche se è lui che ci ricorda: «Questa storia è stata scritta e già studiata». Il problema è proprio questo. Qual è la storia studiata? Chissà, un testo controcorrente forse avrebbe dato un po’ di voce ai vinti (e l’attacco alla Chiesa? E i fucilati del Meridione?). Purtroppo ha prevalso la retorica e nel laccio è caduto anche Benigni: nel suo monologo ha definito Mazzini un grandissimo e ha descritto la Rivoluzione italiana addirittura come fatta dal “basso”… Quasi quasi è meglio il trascinante epos in salsa goliardica di Van de Sfroos (Yanez).
Vogliamo concludere questa rassegna di anime scorticate, di relazioni mancate o riallacciate, con le incoraggianti parole (semplici e forti) di Nathalie: «La vita io trasformerò / cambiando i miei giorni / rendendo i miei sogni / punti di forza in tempeste di vento / fragili forme consumate dal tempo / trasformerò le ferite profonde / e le parole in sospiri di amanti» (Vivo sospesa).
Così la bellezza torna a vincere sul deserto (e poco importa sia in musica o poesia…).

Post scriptum: scusate il ritardo, ma perché l’anno scorso non ha vinto la dolce Malika Ayane con Ricomincio da qui?

*autore de "La caduta di Bisanzio" (Jaca Book, 2010)