Lorenzo Lotto, <em>Polittico di Ponteranica</em> (particolare).

LORENZO LOTTO Genio solitario

Inaugurata a Roma una mostra dedicata all'artista veneziano. Cinquantasette tele per ripercorrere le tappe di Lotto in Italia e scoprire il volto di un uomo che ha segnato la storia dell'arte moderna
Pina Baglioni

Ha scritto Roberto Longhi nel 1946, che «artisti come il Lotto, il Caravaggio, il Rembrandt finiscono come dei vinti, quasi al bando della società in cui si trovano ad essere ospiti indesiderati, perché in contrattempo, perché più moderni di essa».
Una vita tribolata assai, quella di Lorenzo Lotto. Che di sé diceva di essere «solo, senza fidel governo et molto inquieto nella mente». Irriso e cacciato ai margini dallo star-system dello scintillante Rinascimento veneziano. Totalmente dimenticato dopo la morte, quest’artista sublime sarà strappato all’oblio soltanto nel 1894 grazie all’altro leggendario critico d’arte Bernard Berenson, che s’era preso addirittura la briga di setacciare a piedi la sonnolenta provincia italiana per osservare da vicino le sue opere capitali.
Dal 2 marzo al 12 giugno Roma gli rende omaggio. Con una bellissima mostra allestita alle Scuderie del Quirinale, curata da Giovanni Carlo Federico Villa; un’occasione per ammirare 57 dipinti tra pale d’altare, ritratti, opere devozionali e profane. I prestiti dai musei e dalle collezioni straniere sono 17, tra cui, dopo estenuanti trattative, anche il Ritratto di Andrea Odoni di proprietà di Elisabetta d’Inghilterra. Le opere sono state disposte secondo il criterio cronologico ripetuto nei due piani della galleria: al primo sfilano le grandiose pale d’altare. Al secondo, gli straordinari ritratti e i dipinti di più ridotte dimensioni.
Tra tante meraviglie, la Pala di San Bernardino di Bergamo colpisce al cuore per via di quell’angioletto inginocchiato ai piedi della Madonna e di Gesù Bambino. Che, con aria un po’ seccata, si volta all’improvviso puntando dritto lo sguardo verso lo spettatore. Giulio Carlo Argan, scrivendo del dipinto, aveva notato come «la Madonna, con un gesto dimostrativo, quasi da popolana, sembra dichiarare che la verità è lì, in Cristo bambino benedicente». Aggiungendo che «il senso di istantanea è dato dal tappeto che sta scivolando giù dai gradini del trono, fissando un attimo preciso del tempo piuttosto che un’azione orchestrata».
Via da Venezia. Dopo le grandi esposizioni monografiche nel 1953 a Venezia e nel 1998 a Bergamo, Parigi e Washington, quella romana attraversa l’intera produzione dell’artista: dagli esordi fino alla fase finale della vita. Conclusa, da oblato dopo tanti patimenti e umiliazioni, nella pace della Santa Casa di Loreto nel 1557.
La rassegna alle Scuderie del Quirinale, dal perentorio titolo Lorenzo Lotto, è anche una sorta di risarcimento della Città Eterna nei confronti dell’artista veneziano. Se si considera l’indifferenza con cui l’Urbe l’aveva accolto tra il 1509 e il 1510. Nonostante fosse stato chiamato da papa Giulio II a decorare, insieme ad altri artisti, le nuove stanze del Palazzo Apostolico. Ma a decorare le stanze vaticane era stato chiamato Raffaello Sanzio. Che mal tollerava la presenza di altri pittori, come ad esempio Lorenzo Lotto. La coabitazione non aveva funzionato e l’artista veneziano, allora trentenne, aveva deciso di andarsene. Di quel soggiorno romano non è rimasto che il San Girolamo penitente, oggi al Museo Nazionale di Castel Sant’Angelo, presente in mostra. Opera polemicamente anticlassica, con l’inquietante albero dal tronco nodoso e le radici in forma di mano artigliata alle spalle del santo.
D’altra parte, il nostro non aveva avuto problemi solo a Roma. S’era sentito fuori posto addirittura a casa sua, cioè a Venezia, la città dove era nato nel 1480. Anche là, le prime donne, certo, non mancavano a occupare ogni spazio disponibile: Giorgione, di tre anni più vecchio di lui e poi Tiziano, più giovane di dieci. E su tutti il vecchio gigante Giovanni Bellini. «Avendo imitato un tempo le maniere del Bellini, s’appiccò poi a quello del Giorgione» scrive il solito Giorgio Vasari. Mentre altri esegeti antichi lo ritennero allievo di Alvise Vivarini e di Cima da Conegliano. Ma nulla di certificato esiste, in quanto ai maestri. E dunque, giudicando l’aria di Venezia per lui irrespirabile per i troppi scintillii luministici di Giorgione e «la classica felicità di Tiziano» (R. Longhi), Lotto si ritira nei luoghi più remoti delle Marche e del Bergamasco, luogo ideale per sperimentare e scardinare in santa pace le simmetrie e gli equilibri classici dei super eroi dell’epoca. Libero così di esprimere stati d’animo, interiorità, emozioni senza dover rispondere a nessuno, senza doversi misurare.
E allora ecco uscire dal suo pennello il Ritratto di Bernardo de’ Rossi e la Pala di Santa Cristina a Treviso, l’Assunta del Duomo di Asolo, il ritratto di Giovane con lucerna e il Polittico di san Domenico a Recanati. Tredici anni li passerà poi a Bergamo: il periodo più fecondo e felice della sua vita. Là, grazie a una committenza colta ed esigente nascono la Pala Martinengo, il Commiato di Cristo e la Madre, che pare la trasposizione in pittura del gruppo scultoreo di Gaudenzio Ferrari al Sacro Monte di Varallo. La struggente Pala di San Bernardino e le Scene della vita di Maria per la chiesa di San Michele al Pozzo Bianco «un racconto piano ed arguto di una storia senza eroi… intesa con uno spirito che potrebbe dirsi, con tre secoli d’anticipo, manzoniano» (Giulio Carlo Argan).
Nel 1527 Lorenzo torna a Venezia. Giusto in tempo per farsi prendere in giro da Pietro l’Aretino che gli scrive: «Oh Lotto, come la bontà buono e come la virtù virtuoso». Nonostante tutto, dipinge il Ritratto di Andrea Odoni e la Pala di San Nicola in Gloria per la chiesa di Santa Maria dei Carmini, che verrà graziosamente salutata come un «assai notabile sempio di cattivo colore» da Ludovico Dolce, biografo di Tiziano. L’artista, tra il 1528 e il 1530, scappa un’altra volta da Venezia alla volta di Jesi e Loreto per poi risalire a Ponteranica, nella Val Brembana. Nelle Marche si lascia alle spalle due Annunciazioni, soggetto a lui particolarmente caro. Riproposto nel Polittico di Ponteranica, negli scomparti superiori posti ai lati di Cristo Redentore. Con «quell’angelo annunziante… momento sublime quasi a svenimento, di tutta e intera la nostra pittura» scrive Giovanni Testori sul Corriere della Sera nel settembre del 1980 per i cinquecento anni dalla nascita di Lorenzo Lotto.
Prima di arrivare alla meta, al riparo da tante mortificazioni, presso la Santa Casa di Loreto, Lorenzo cambia casa decine di volte; tenta di vendere i suoi quadri invenduti, ma non ci riesce. Cerca ospitalità dai pochi parenti. Ma nessuno gli dice di restare.
Intanto, come sempre capita, la sua arte riesce ad andare in direzione opposta rispetto alla sua vita. Ecco ancora la Crocifissione di Monte San Giusto, la Madonna del Rosario a Cingoli e l’Elemosina di Sant’Antantonino ancora a Venezia. Con quella folla di poveretti, ai piedi del Santo, con le mani tese a chiedere l’elemosina. Fino all’ultima, dipinta con mano tremolante, Presentazione al Tempio a Loreto, considerata il suo testamento spirituale: in alto a destra, vi fa capolino una figura di vecchio dalla lunga barba bianca, nella quale si è voluto riconoscere il pittore nel suo estremo saluto.
Scrive Vittorio Sgarbi nel suo saggio in catalogo: «Riflettere oggi su Lorenzo Lotto significa confrontarsi con un artista così duttile e sensibile da sfuggire a ogni definizione storicamente delimitata. Fin dai suoi esordi è come se si sentisse esonerato dalla responsabilità di stare in una linea, di seguire un tracciato. La sua è subito un’altra storia».