La copertina del cd "Yanez".

VAN DE SFROOS Un disco che parla in laghèe

Nel nuovo album del musicista comasco, i personaggi di un quadro che non è altro che la sua storia. E tra immagini e neologismi mescolati al dialetto, nasce un'«alchimia» che fa venire voglia di cantare
Walter Muto

L’abbiamo visto anche a Sanremo. Forse un pelino a disagio, ma, come sempre, se stesso. Si, perché come ha tenuto a precisare, Davide Van De Sfroos sarebbe stato lo stesso, con o senza Sanremo. Certo, adesso la sua Yanez si sente un po’ di più per radio, ma entrare nel suo mondo un po’ più profondamente è di certo esperienza molto più intensa che non appena un singolo radiofonico.
Scriveva Marcello Filotei sull’Osservatore romano del 17 febbraio che nel turbinio di personaggi costruiti a tavolino (o che imitano se stessi in periodi migliori, come aggiunge più avanti nell’articolo) appare ad un certo punto una persona vera. Era proprio Davide, l’unico che non interpreta se stesso, ma è proprio fatto così. E allora andiamo a vedere un po’ più da vicino questo ultimo lavoro, chiamato Yanez proprio come il primo singolo. Il brano di apertura, El carnevaal de Schignan, ci proietta subito in uno dei caratteri stilistici della musica di Davide, la baraonda, il brano veloce e coinvolgente, particolarmente trascinante nei concerti. Il mondo di riferimento è lo stesso di sempre, una storia cui Davide appartiene e che continua nel suo presente, nei suoi figli, nella sua maniera di raccontare; «L’è questa strada che la rampéga / quella dei noni e di mè neuu» - la strada che è la stessa dei nonni e dei nipoti.
Il mondo già affollato dei personaggi raccontati in passato si arricchisce di nuovi caratteri: Dona Lüseerta, Long John Xanax, Il reduce, La figlia del tenente, ognuno con una storia cui andare a fondo, ognuno dentro il suo tempo e in lotta con esso, perché «la Breva firma i cipressi e soffia via la polvere di quello che volevo essere / perché il tempo è un coniglio che scappa / Ma è anche il cane che lo rincorre». Rigorosamente tradotto dal laghèe, ma vi assicuro che in dialetto l’immagine è più bella, risalta, si staglia di più.
In un’altra canzone poi troviamo il personaggio forse più riuscito, e insieme un tributo ad alcuni dei padri, delle fonti di ispirazione di Van De Sfroos. Il camionista ghost rider, l’autista di autotreno che carica i fantasmi dei musicisti, Johnny Cash, Woody Guthrie, Robert Johnson e Jimi Hendrix. Perché come già nel passato, le parole delle storie di Davide sono vestite di musica, e la musica è proprio quella degli amati eroi: il country, il folk, il blues, così amati e metabolizzati da riuscire ad essere un tutt’uno con una lingua diversissima, ma forse più simile all’inglese (almeno come scansione) di quanto lo sia l’italiano. E ancora una volta l’alchimia funziona. E ad un luogo, più che ad un personaggio è affidata un’altra delle storie più riuscite dell’album, La machina del ziu Toni, carcassa di auto abbandonata nel fienile dove i ragazzi ascoltavano musica nel loro viaggio immaginario. E con una pennellata, abbiamo uno squarcio vivido anche dei giovani di oggi, vagabondi delle strisce pedonali, «tatuagg come maori, ma nostalgia dell’uratori», profeti che guardano la sfera e youtube. Il tutto a ritmo di blues.
La narrazione a tratti è più raffinata e sarebbe difficile e lungo illustrare qui tutte le bellissime immagini che affiorano dalle storie. Le scoprirete da voi se accetterete la sfida di un ascolto con il libretto dei testi e delle traduzioni in mano, come bastone per il cammino sulla strada che rampèga, la strada che sale, ma al fondo della quale c’è un intero panorama da guardare e da gustare. La verità è che le immagini, i giochi di parole, i neologismi mescolati al dialetto, i personaggi, sono tutte pennellate che appartengono ad un unico quadro. Che vi invito a scoprire, leggendo i testi tradotti, immergendovi nelle storie, entrando nel ritmo, nel passo di questa narrazione musicata. Ed anche cantandole, cosa che un gran numero di ragazzi fa, con i pezzi di uno dei pochi cantautori italiani, che facciano venire la voglia di prendere la chitarra e farsi una cantata insieme. Alla prossima.