Una scena del film.

HABEMUS PAPAM Non manca Dio, ma l'uomo

Uno "strizzacervelli" è chiamato a risolvere il caso del neo-Papa che non accetta l'elezione e scappa. Lo psicoanalista Luigi Ballerini ha visto per noi il nuovo film di Nanni Moretti. Dove «l'inadeguatezza umana è spacciata per inconsistenza»
Luigi Ballerini

Quello che rende Habemus Papam un’occasione mancata non è tanto l’assenza di Dio, ma la totale assenza dell’uomo. Nel film di Nanni Moretti, nessun personaggio ha lo spessore proprio dell’umanità: ciascuno è ridotto a macchietta e caricatura. E la vita stessa è ridotta a teatro, non a caso la narrazione si serve de Il gabbiano di Cechov.
Gli anziani cardinali sono ritratti con ridicoli aspetti infantileggianti, costretti a gigionare più o meno goffamente dentro la divisa porporata. Anche quando giocano non lo fanno con la serietà dei bambini, piuttosto nella riduzione dell’infanzia pensata spesso dagli adulti. Fra loro, forse l’unico che spicca è Gregori, il candidato forte all’elezione pontificia, le cui parole sono limitate, ma i cui sguardi preoccupati sono spesso densi di dignità e vigore. O quanto meno si distingue, dando l’impressione che stia pensando qualcosa, che si stia facendo un’idea personale di ciò che accade e cerchi delle possibili soluzioni. Perché l’irrealtà del collegio cardinalizio morettiano non è appena nel fatto che quegli uomini non pregano, ma che non pensano nemmeno.
Poi c’è Moretti attore, che interpreta lo psicoanalista chiamato a “studiare” il caso del Papa riluttante. Il personaggio è un professionista senza alcuna credibilità, un soggetto da cui nessuno andrebbe mai in cura: idem la moglie (Margherita Buy), che fa lo stesso mestiere. Entrambi preda delle loro stesse questioni, compiono errori grossolani: saltano alle conclusioni senza verificare se esista davvero una domanda; peggio, confondono ingenuamente l’affermazione gridata e ripetuta «aiutatemi!» con una richiesta di cura, quando dovrebbero sapere che tale dichiarazione non basta affatto: l’analisi non è un atto transitivo, compiuto sul soggetto da un esperto, ma la forma di un rapporto sempre a due, un lavoro comune. In particolare, la Buy si porta al bar (ma perché?) il suo paziente, neanche avesse dietro un barboncino-toy, inserendolo senza ragione in un contesto inadeguato e in cui stona.
Ma è il novello Papa che sconcerta. Di lui non sappiamo nulla fino a che non lo vediamo agire una vera e propria drammatizzazione isterica, con grida al limite del patetico davanti al finestrone spalancato su Piazza San Pietro con la folla in attesa. Lo sentiamo lamentarsi urlando di notte, come solo uno psicotico: più che in Vaticano sembra di trovarsi in un manicomio pre-Basaglia e Moretti più che uno psicoanalista pare uno psichiatra di guardia notturna forzato nell’impersonale stanzino di un ospedale. Il personaggio, ben interpretato da Michel Piccoli, oscilla fra la drammatizzazione isterica sempre in agguato e lo sguardo catatonico proprio della demenza: quel modo stordito e straniato che ha di osservare la realtà mentre vaga per Roma senza meta lo documenta a lungo.
C’è un grande rischio nel film di Moretti: che tutto questo impianto venga scambiato per la “profondità” dell’uomo, la sproporzione del limite umano di fronte a un’impresa impossibile, al suo destino forse: «L’inadeguatezza dell’uomo», come ha detto lo stesso regista. Ma Habemus Papam è tutta superficie, condita con qualche - anche coraggiosa - sciocchezza psicosimile (la tiritera sul “deficit di accudimento” della Buy-psicoanalista) e un po’ di espedienti pseudo-culturali (l’inserimento, non pienamente riuscito, di Cechov e il teatro).
Non c’è traccia di pensiero, non c’è meditazione alcuna. Per questo manca l’uomo: di fronte a una situazione drammatica non si vede elaborazione, ma solo una smarrita emozione con le conseguenti reazioni. Cancellato il dramma, resta appunto la commedia, peraltro senza svolgimento né evoluzione. Assistiamo a una riduzione dell’umano in cui il limite viene spacciato per inconsistenza strutturale, per inadeguatezza di principio di fronte al reale e alle questioni che pone. Tutti poveretti al mondo.
Non è vero invece che l’uomo è nulla. Come non è vero che è definito da un tale coacervo di contraddizioni incomprensibili. Il punto distintivo del soggetto non è, innanzitutto, la sua inadeguata fragilità, ma è la dignità che nessuna condizione contraddittoria può sottrarre. E la libertà, che gli permette sempre di pensarsi legato a un altro, cui rivolgersi per chiedere e ricevere anche ciò che eventualmente gli manca.
È per questo che nel film di Moretti nessuno prega: non perché manchi Dio cui rivolgersi, ma perché mancano gli uomini della domanda.