Un momento del Festival.

Non c'è limite che tenga

Fino al 15 maggio, a Carpi, il Festival internazionale delle abilità differenti. Dieci giorni di spettacoli, musica e teatro per mostrare che l'handicap non è un problema. Se «il cuore vuole ballare»... (Guarda la fotogallery)
Fabrizio Rossi

Sul palco ci sono Paolo, Erica, Andrea e Liana. Si godono gli applausi: chi alla tastiera e chi alla batteria, con un centinaio di studenti delle medie hanno messo in piedi uno spettacolo che spazia da Va pensiero a Romagna mia. Siamo al Festival internazionale delle abilità differenti: dieci giorni di spettacoli di danza, musica e teatro, cineforum, convegni e workshop, in programma dal 6 al 15 maggio a Carpi, Correggio, Modena e Bologna. Tema di questa tredicesima edizione: “Twinkle. E quindi uscimmo a riveder le stelle” (v. il programma).
Le «abilità differenti» sarebbero quelle di Paolo, Erica, Andrea e Liana. E di decine di altri disabili accolti dalla Cooperativa Sociale Nazareno, nata a Carpi trent’anni fa da un sacerdote modenese, don Ivo Silingardi. Per dare spazio, come lo stesso Festival, al twinkle, il “bagliore” che queste persone portano in sé. Anche se, spesso, il mondo non riesce a scorgerlo: «Al Festival non vengono guardate per il loro problema, ma per la risorsa che possono essere per gli altri», spiega Sergio Zini, presidente della Cooperativa. Da questa coscienza, l’attenzione con cui sono stati pensati e arredati gli appartamenti intitolati a santa Teresa e sant’Ermanno, che ospitano 25 disabili. O la professionalità che caratterizza atelier e laboratori in cui, ogni giorno, si realizza una serie di prodotti (bomboniere, cornici, agende in pelle, piatti in ceramica...) destinati alla vendita.
Al Festival, gli artisti arrivano da tutto il mondo. Come il cantautore canadese Justin Hines, che il 7 l’ha aperto insieme alla cantante statunitense Shannon De Vido. Lui, sulla sedia a rotelle per una rara sindrome. Lei, per una malattia al midollo spinale. Eppure, a chi chiedeva come fosse possibile conciliare l’arte con l’handicap, Hines rispondeva: «È un problema che non mi pongo: il punto è la soddisfazione in quel che fai. A me cantare appassiona, quindi mi sento fortunato». Non c’è limite che tenga. Come ha testimoniato Tony Melendez in una passata edizione: con la sua chitarra ha girato il mondo, esibendosi perfino davanti a Giovanni Paolo II. Per suonarla, però, usa i piedi: è senza braccia dalla nascita. Ma questo non è bastato a frenarlo: «Perché il mio cuore vuole ballare», racconta. «Vuole cantare, vuole vivere la vita: agli occhi di Dio, io sono intero» (la sua storia è anche in un video su Youtube, che vale la pena vedere). Certo, per artisti come questi la strada è più lunga e faticosa. Ma quale uomo non deve fare i conti con il suo limite? Quale opera non nasce dal sacrificio? La meta, però, è una sola: comunicare se stessi. Come ha detto martedì Tommaso, un giovane down che fa parte di una compagnia di danza: «Facendo gli esercizi, preparo il mio corpo per esprimere la mia anima».
Di compagni, su questa strada, non ne mancano. Per esempio Paolo Cevoli e Claudia Penoni, comici di Zelig, che da qualche anno mettono la loro bravura al servizio del Festival, presentando le serate. O David Jackson, storico sassofonista dei Van Der Graaf Generator, che ha addirittura inventato un metodo per permettere a chiunque di far musica: con lo strumento SoundBeam (beam sta per “raggio”), che come una sorta di radar coglie i movimenti di chi ha davanti e li trasforma in suoni. E bisognava vedere le facce di Guido, Roberto e Margherita, che martedì con una ventina di disabili hanno partecipato ad un laboratorio con Jackson. Dove l’artista è riuscito a coinvolgere tutti i partecipanti in una serie di improvvisazioni, accompagnandole con il flauto o il sax. Se lui non sapeva l’italiano, gli altri non capivano l’inglese. Eppure, per quel che stava succedendo, le parole non servivano.
Al centro, loro. Per un motivo semplice: «In ogni uomo c’è una grandezza che nessuna patologia può cancellare», spiega Sergio Zini. Sono al centro anche della commedia di Goldoni che sabato sera chiuderà il Festival: Truffaldino, servitore di due padroni. Sul palco, dieci attori. Tolti due educatori, sono tutti disabili: «Sono loro i veri protagonisti», dice Marco Viola, direttore della Cooperativa. «Ognuno viene valorizzato per quello che è». Che, a pensarci bene, è proprio ciò che fa Dio con noi. Così, nello spettacolo («Il tredicesimo nei 17 anni della nostra compagnia», racconta Luis, educatore e qui aiuto regista: «Ma non siamo scaramantici...») tutto è curato fin nel dettaglio: dal copione, rigorosamente studiato a memoria, ai costumi, dalle musiche agli oggetti di scena, realizzati negli atelier della Cooperativa stessa. Al punto che, com’è successo ad una replica di un’altra loro opera, una signora ci ha messo un po’ a capire che non aveva sbagliato spettacolo: «Vi guardavo e mi chiedevo: ma i disabili dove sono?». Erano tutti lì, sul palco.