A casa di Pietro

CULTURA - DENTRO AI VANGELI
José Miguel García

La guarigione della suocera di Simone. La liberazione degli indemoniati. E il miracolo al paralitico calato dal tetto... Uno dei curatori ci presenta la mostra che porterà Cafarnao a Rimini. Per guardare, con gli occhi degli apostoli, l’avvenimento di Gesù. Fino alla domanda: cosa ha permesso a quegli uomini di dare la vita per Lui?

Al Meeting (21-27 agosto, Fiera Nuova di Rimini), quest’anno arriveranno nove mostre. Dalla figura del beato John Henry Newman al contributo della sussidiarietà in 150 anni d’Italia, dalla scoperta dell’atomo alla vicenda dello scrittore Boris Pasternak. Tutte per approfondire il tema della kermesse: “E l’esistenza diventa una immensa certezza”. Una di queste ricostruisce il percorso di alcuni ebrei di Cafarnao dopo l’incontro con Gesù: “Con gli occhi degli apostoli. Una presenza che travolge la vita”, realizzata con il Patrocinio della Custodia di Terra Santa, vuole aiutare a capire di più cosa è successo quando Gesù è arrivato a questo villaggio, per abitarvi per parecchi mesi della sua vita. Verranno presentati il luogo e i fatti raccontati nei Vangeli dal punto di vista storico, archeologico ed esegetico mediante ricostruzioni, immagini, pannelli... Fino ad affrontare il cuore della questione: cosa ha permesso a questi uomini di dare la vita per Lui?
Per inquadrare la mostra, partiamo dai luoghi: Cafarnao. Questo villaggio praticamente sparisce durante il dominio arabo della Palestina, iniziato nel VII secolo; le case e gli edifici pubblici abbandonati crollano, il paese diventa una rovina. Tanto che, nel XIII secolo, il domenicano Burcardo del Monte Sion scrive: «La città di Cafarnao, un tempo gloriosa, è al presente molto spregevole, con appena sette abitazioni di poveri pescatori». Poco tempo dopo, Cafarnao cade nell’oblio. Sicuramente sarebbe rimasta nella dimenticanza totale se lì non fosse accaduto un fatto unico: Gesù di Nazaret, il Figlio di Dio, abitò e cominciò la sua manifestazione pubblica in quel villaggio. Fu così importante per Lui che Matteo la chiama «la città di Gesù» (9,1). I francescani, custodi di Terra Santa, acquistarono quelle rovine alla fine del XIX secolo e cominciarono a fare degli scavi, per recuperare Cafarnao dall’abbandono. Grazie al loro lavoro oggi conosciamo meglio il luogo in cui abitò Gesù durante la maggior parte della sua attività apostolica e riusciamo a capire in modo più concreto i racconti evangelici, che ci parlano di fatti accaduti in questo territorio, giacché ci raccontano della sua predicazione e dei primi miracoli accaduti a Cafarnao o nelle regioni vicine.

Quattro parti. La mostra, quindi, si divide in quattro grandi parti. La prima, centrata proprio su Cafarnao, evidenzia il tipo di vita sociale e religiosa dell’epoca. I visitatori potranno percorrere una via del villaggio ed entrare nella sinagoga. Poi lo sguardo si concentra sul gruppo dei discepoli e sulla loro esperienza di un’umanità diversa, più vera, nell’incontro con Gesù, per indagare come sono arrivati a vivere un’unità che nessun accordo umano potrebbe generare. Nella seconda parte, la mostra descrive cos’è successo quando Gesù ha cominciato a predicare e ad operare miracoli a Cafarnao: ha guarito la suocera di Simone dalla febbre; ha liberato gli indemoniati che si affollavano davanti alla casa di Pietro; ha risanato il paralitico che era stato calato dal tetto, dopo avergli rimesso i peccati... Da quel momento, la sua fama si è diffusa in tutta la regione e oltre. Da ogni villaggio della Galilea, della Giudea e della Decapoli, hanno cominciato ad arrivare centinaia di persone mosse dal loro bisogno, con un desiderio grande in cuore. Nel percorso della mostra, quindi, ci sarà una rirpoduzione del lago e dei posti in cui Gesù ha pronunciato i suoi grandi discorsi e ha fatto alcuni dei miracoli più imponenti.
La terza parte è interamente dedicata alla casa di Pietro, che è diventata la dimora del Signore per qualche anno. E la quarta alla risurrezione di Gesù e al culto cristiano che quella casa avrebbe ospitato (per questo, può essere chiamata la prima Domus Ecclesiae): com’è noto, infatti, alcune apparizioni del Risorto sono accadute proprio in questa regione. Mossi da questo fatto inimmaginabile, i discepoli sarebbero andati nel mondo a far conoscere Gesù a tutti gli uomini. 

Con i testimoni. Principio metodologico della mostra è prendere sul serio la testimonianza dei Vangeli. Benedetto XVI afferma nell’introduzione del suo primo volume su Gesù di Nazaret: «Per la mia presentazione di Gesù ho fiducia nei Vangeli... Ho voluto fare il tentativo di presentare il Gesù dei Vangeli come il Gesù reale, come il “Gesù storico” in senso vero e proprio». In realtà, tutto quello che noi sappiamo su Gesù è grazie alla testimonianza degli uomini che L’hanno seguito nel suo girovagare per le sinagoghe e i campi della Palestina. Fidarsi della testimonianza non è una posizione ingenua e acritica: la testimonianza non nega la dimensione storica, al contrario la presume, giacché cerca di comunicare ciò che è realmente accaduto, quello che ha visto e sentito il testimone. Testimonianza e storia vanno insieme. Perciò il modo ragionevole di porsi davanti alla testimonianza evangelica non è il dubbio, come ha fatto tanta ricerca storica, ma la fiducia. Al testimone si deve dare credito, a meno che non ci siano fondati motivi per dubitare della sua affidabilità. Partire per principio dal sospetto o dalla sfiducia davanti al testimone è più un segno di pazzia o cattiveria che non di ragionevolezza. Basta rammentare come fa il giudice in tribunale di fronte ai testimoni del processo.
Tutti i Vangeli provengono da testimoni oculari, direttamente o indirettamente. Così dicono alcuni di loro in modo esplicito. Tutti richiedono quindi la fiducia e l’accoglienza del lettore. Tante volte la critica moderna si mette davanti alla testimonianza evangelica con il sospetto o il dubbio, sostenendo che soltanto così si può arrivare fino al Gesù storico, alla verità dell’evento. Invece i risultati della critica moderna non possono essere più scoraggianti: tot capita, tot sententiae. Le conseguenze a cui arriva tale posizione di sfiducia fanno capire il suo errore metodologico. In verità, l’unico modo per accedere al vero Gesù è prendere sul serio la testimonianza dei Vangeli.
È vero, però, che gli evangelisti raccontano questi fatti storici perché hanno riconosciuto in essi il compimento della promessa antica, perché hanno una valenza salvifica per tutti gli uomini. Afferma il teologo Martin Hengel: agli evangelisti «premeva di narrare, con il resoconto delle opere e della passione di Gesù di Nazaret, niente meno che la storia della partecipazione di Dio all’evento escatologico, la storia della sua venuta tra gli uomini, e proprio in questo modo, narrando il compimento della promessa, completare la narrazione storica veterotestamentaria, alla quale tutti, in un modo o nell’altro, si riallacciavano». Certamente il percorso della conoscenza raccontato nei Vangeli e testimoniato nella mostra ci fa vedere che qualcosa entra nell’interesse umano, impatta l’uomo per la sua imponenza di verità, bellezza e bene. Gli abitanti di Cafarnao e dintorni erano incuriositi da Gesù di Nazaret perché hanno percepito la sua eccezionalità, per il fascino che suscitava quello che vedevano e sentivano. Quell’uomo aveva un’intelligenza sorprendente, una bontà straordinaria, un potere inesplicabile sulla natura. Gli sono andati dietro attratti dalla Sua eccezionalità. E, stando con Lui, hanno sperimentato un’intensità di vita mai conosciuta prima. Questa esperienza li faceva certi della convenienza del rapporto con quell’uomo venuto tra di loro. Ecco qui l’origine della certezza, tema del Meeting. «Guarda la fede come rende più umano il mio vivere», dice don Giussani: «Se tu non hai mai potuto dire questo, la fede non diventerà mai convinzione e non diventerà mai costruttiva, non genererà mai nulla, perché non ha toccato il tuo io profondo, come accade normalmente».

Focolare del bello. Anche oggi il cammino per diventare certi nella fede è gustare il cambiamento che introduce Gesù nella nostra vita, fare esperienza della verità dell’umano che genera la sua Presenza, cioè sperimentare la sua capacità di destare l’io e portarlo a compimento. Agli Esercizi spirituali della Fraternità di Cl, Julián Carrón ha detto: «Un cristianesimo che non è in grado di muovere la persona, di suscitare l’umano, ha portato a un disinteresse verso il cristianesimo stesso, facendolo diventare irrilevante». Nella sua autobiografia, l’allora cardinale Ratzinger scriveva: «Non saprei dare una prova più convincente della verità della fede cristiana che la sincera e bella umanità che genera».
Dal punto di vista archeologico, la mostra conta sull’aiuto di padre Eugenio Alliata, direttore del Museo dello Studium Biblicum Franciscanum. Per la prospettiva esegetica, sfrutteremo le scoperte della Scuola esegetica di Madrid. Nel celebre Rapporto sulla fede, sempre Ratzinger afferma: «I cristiani non devono accontentarsi facilmente, devono continuare a fare della loro Chiesa un focolare del bello - dunque del vero - senza il quale il mondo diventa il primo girone dell’inferno». Recentemente, a Barcellona il Papa ha riconosciuto che «la bellezza è la grande necessità dell’uomo». Per questo motivo, abbiamo a cuore che in questi pannelli la verità della fede venga mostrata con tutto lo splendore della bellezza, anche grazie all’aiuto di Erasmo Figini, noto stilista.
Qualche tempo fa Julián Carrón ha sottolineato il valore canonico dei Vangeli: in loro, cioè, si testimonia cosa è il cristianesimo e come succede, allora e oggi. Non sempre, però, viene presa in considerazione questa dimensione dei Vangeli. Il loro contenuto viene capito secondo la nostra mentalità o misura, o addirittura secondo i nostri pregiudizi: quid accipitur ad modum recipientis accipitur. A volte favorisce questa comprensione ridotta dei Vangeli il già saputo, il dare per scontato di conoscere quello che raccontano.
Ecco: lo scopo della mostra è guardare quei fatti con gli occhi degli apostoli, come dice il titolo. Vogliamo cioè favorire la percezione dell’imponenza e novità dell’avvenimento accaduto in questo luogo, provare lo stesso stupore e fascino di quelli che hanno visto e sentito Gesù per la prima volta, e così arrivare alla certezza.