In aeroporto.

Si costruisce sempre in "luoghi abbandonati"

Dieci giorni di lezioni per i Dialoghi d'Aragona. Un corso di Alta Formazione dedicato allo studio dello spazio umano e delle culture mediterranee. Sul tema di quest'anno, pubblichiamo un articolo da "La Sicilia"
Sergio Cristaldi*

L’autostrada, il parcheggio, l’aeroporto, l’albergo, il supermercato. Li attraversiamo spesso, trascorrendovi, volenti o nolenti, minuti, ore. La sociologia li denomina “non-luoghi”, sottolineandone la vocazione ad agevolare il transito delle persone e delle merci, il flusso della circolazione e del consumo. Secondo i momenti - l’ora di punta, la notte - appaiono gremiti o deserti; ospitano infatti e cedono passeggeri o clienti, ma non conoscono veri e propri abitanti, in rapporto non occasionale ed effimero fra loro. Da questo punto di vista, le notti delle catene alberghiere valgono quanto i diurni appuntamenti con gli ingorghi. Come ha scritto Marc Augé, i non-luoghi non hanno affatto lo scopo di «creare identità individuali, relazioni simboliche e patrimoni comuni»; mentre consentono il passaggio e fanno di tutto per agevolarlo, per renderlo più snello e confortevole, essi costruiscono lo scenario degli anonimi, il teatro dell’inappartenenza, in un orizzonte dove il maggior numero possibile di oggetti è raggiungibile e nessuna umana affezione si consolida.
La coscienza che prende atto dei non-luoghi è, in quello stesso momento, segnata dalla memoria del loro opposto, in qualche modo sperimentato. Pietro Barcellona ha rievocato la piazza delle trattative e delle amicizie, il bar che faceva da sfondo alla confidenza e alla stipula dell’accordo, insomma «i luoghi pubblici della socializzazione, dove lo stare insieme era comunicare non solo informazioni, ma affetti e stili di vita, trasformare passioni, produrre iniziazioni». L’io non sradicato maturava lì una fisionomia propria, la maturava proprio grazie al contatto e al confronto con le altre identità, in un investimento costante sull’interazione comunitaria, che poteva anche farsi dialettica serrata e aspra, ma non cedeva una fiducia di fondo, né il senso di una responsabilità verso un destino collettivo. La rivendicazione della propria, irrinunciabile differenza non contrastava con i legami, al contrario li presupponeva, nel ritmo pur difficoltoso e sfrangiato di una scoperta di sé entro un paragone, o meglio entro un coinvolgimento con presenze non indifferenti.
Come evitare che questa memoria divenga sospetto indiscriminato verso l’oggi e riflusso nostalgico, celebrazione di defunte arcadie, quando invece vorrebbe essere tutt’altro, recupero di un’esperienza (non di un modello teorico) in vista di una riedificazione dell’umano, qui e ora?
Ha osservato Italo Calvino che ci sono due modi per stare nell’inferno: abituarsi fino a smarrire la coscienza di un’abiezione, fino a scambiare l’abiezione per normalità; oppure riconoscere ciò che attualmente non è inferno e dargli spazio. In fondo, si tratta di una dinamica ricorrente. Per stare al suggerimento di Thomas S. Eliot, si costruisce sempre in «luoghi abbandonati», fra travi marcite e parole non più dette, e questa costruzione o ricostruzione è possibile perché anche nel deserto sporge comunque un punto sorgivo, da incrementare e dilatare.
In origine, nel fatto innegabile della nascita, l’io si colloca entro un rapporto che lo vuole (senza il quale, semplicemente, non ci sarebbe); e a qualunque sua fase, si alimenta a un ambiente, per quanto lacunoso e stentato. È innegabile, tuttavia, l’atomizzazione che si specchia nel paesaggio odierno degli agglomerati informi e delle sale d’attesa segnate dall’estraneità. E bisogna non attenuarne, semmai radicalizzarne la denuncia. Fino al riconoscimento che il punto di rinascita è un incontro significativo, l’imbattersi in quel "luogo" che non è un intreccio di coordinate, ma una persona, una presenza umana che corrisponde all’attesa e ridesta l’affettività. Lo ha testimoniato, in versi che non si dimenticano, Carlo Betocchi: «Ciò che occorre è un uomo / in spirito e verità; / non un paese, non le cose, / ciò che occorre è un uomo, / un passo sicuro, e tanto salda / la mano che porge che tutti / possano afferrarla e camminare / liberi, e salvarsi». È da questa presenza che possono scaturire gli spazi di nuovo umanizzati, i luoghi di una socialità non labile; del resto, una simile presenza rivaluta anche i contesti più anonimi, fa di ogni circostanza un’occasione.

*docente di Letteratura italiana all'Università di Catania


I DIALOGHI D'ARAGONA (15 - 25 giugno)
Ad aprire la seconda edizione del corso di Alta Formazione sarà Etsuro Sotoo, scultore della Sagrada Família di Barcellona. L’inaugurazione si terrà alle 18, al Camplus d’Aragona, con introduzione del poeta Davide Rondoni.
Il Corso, coordinato da Pietro Barcellona, vedrà la partecipazione di quaranta giovani laureati e ricercatori provenienti da tutta Italia, che avranno l'opportunità di ascoltare e confrontarsi con maestri di fama internazionale.
Fra i docenti invitati quest'anno: gli architetti Luigi Snozzi e Andreas Kipar; i sociologi Aldo Bonomi e Franco Cassano; gli storici Giovanni Filoramo e Lucetta Scaraffia; il fotografo Giovanni Chiaramonte; lo scrittore Luca Doninelli; l’economista Stefano Zamagni e il presidente della Fondazione per la Sussidiarietà Giorgio Vittadini.