Padre Marko Rupnik.

C'è solo una Bellezza che cattura il cuore

Padre Marko Rupnik, artista e teologo, ha lavorato alla cattedrale di Madrid. In vista della GMG, su "Huellas" racconta cosa c'è dietro ad ogni sua opera. E qual è «il grande bisogno dell’uomo di oggi»
Carmen Giussani

Il colore dell’Amore è tornato a Madrid. Il colore dell’Amore è l’atelier del Centro Aletti che nella cappella del Santissimo Sacramento della cattedrale ha lavorato dieci, undici ore al giorno, per quasi due settimane, per renderla un luogo degno della Sua presenza. Ed è il colore dell’Amore perché quello che vedi mentre lavorano è la comunione con occhi, voci, gioia, amicizia, lingue e culture diverse, semplicemente persone vere. Tra impalcature, cazzuole e smalti, brilla una luce straordinaria e si mescolano sapientemente i colori dell’iride. Padre Marko Rupnik, direttore del Centro Aletti, ascolta, domanda e suggerisce ad ognuno l’esatto particolare di cui ha bisogno, coglie con lo sguardo l’unità dell’opera che prende forma. Lo incontriamo in una pausa dei lavori per prepararci all’incontro con il Papa per la Giornata Mondiale della Gioventù.

Nell’omelia della consacrazione della Sagrada Família, a Barcellona, Benedetto XVI ha detto: «Il grande bisogno dell’uomo di oggi è la bellezza». Di che bellezza ha bisogno l’uomo di oggi?
Riguardo alla bellezza mi riferisco a due grandi autori che hanno realizzato una sintesi formidabile: Vladimir Solov’ëv, che dice che «la bellezza è la carne del vero e del bene», e Pavel Florenskij, che lo esplicita ancor meglio: «La verità rivelata è l’amore, l’amore realizzato è la bellezza». Ecco, io penso che Benedetto XVI parlasse di questa bellezza, perché è di questa bellezza che il mondo ha bisogno. Credo che la bellezza, essendo la piena realizzazione dell’amore nella storia, metta a nudo tante falsità e tanti romanticismi. L’uomo europeo, pian piano, ha frainteso molte cose e vive nella confusione. La bellezza, a mio parere, si è persa quando l’ha presa in mano la filosofia moderna, e poi i diversi idealismi e romanticismi, per cui è finita nella cosmetica.

A cosa si riferisce?
La grande tragedia dello spirito europeo, uso proprio questa parola, è che abbiamo escluso dalla via conoscitiva il mondo del Creato, dunque il mondo materiale e corporeo. Così, poi, tutto è diventato “conoscenza”, tutto è diventato “verità”, intesa in un certo senso; e queste due cose, il corpo e il mondo materiale, sono state sempre più escluse come necessarie per la conoscenza. Al punto che, a livello pratico, abbiamo affidato tutto il mondo del corpo e della materia all’etica e alla morale. E con questo siamo riusciti a suscitare, attraverso i secoli, una tremenda allergia contro la fede e contro la Chiesa, perché il mondo ha finito per considerarla come quell’autorità che ha rinchiuso queste due cose nell’etica e nella morale, e ha dettato le regole del gioco e le leggi di comportamento. Per parlare di bellezza oggi, a mio parere, bisogna assolutamente tornare a una visione organica, autenticamente teologica, di simbolo. E, siccome anche questo si è perso, è molto difficile oggi parlare di bellezza.

Julián Carrón ha ripreso un passo della Deus caritas est: «La vera novità del Nuovo Testamento non sta in nuove idee, ma nella figura stessa di Cristo, che dà carne e sangue ai concetti, un realismo inaudito».
L’affermazione di Benedetto XVI è talmente palese, elementare, da catechismo... eppure suona quasi scandalosa oggi, perché noi europei siamo bravissimi ad ideologizzare tutto, tanto che abbiamo anche ridotto Cristo a una cristologia.

Cosa dobbiamo cercare oggi in una situazione in cui non si capisce questa affermazione dell’Enciclica?
Il cristiano deve cercare l’unità della sua vita e l’unità del pensiero, l’unità fra quel che vive e quel che pensa. Noi oggi stiamo facendo molte opere buone. Noi siamo persino una Chiesa stanca per la gran quantità di bene che stiamo facendo. Facendoci un esame di coscienza, dobbiamo comunque domandarci: ma gli altri vedendo queste opere buone rimangono indifferenti, se ne servono, le prendono, le usano, ci ammirano, perfino ci ringraziano, ci applaudono, o si muove qualcosa nel loro cuore e cominciano a lodare il Padre? E se questo non avviene, le nostre opere non sono veramente buone: sono opere di quell’amore pagano di cui parlavo prima. Anche perché, se no, qualche cosa dovrebbe smuoversi. Non è possibile altrimenti. Rinchiudendo il mondo materiale e corporeo nell’etico e morale, noi suscitiamo ammirazione per la nostra bravura, perché davanti a un’opera etica, morale, si dice «bravo, hai fatto bene», ma non si dice «Che bello: c’è Dio!». Solo l’ontologia suscita lo stupore che dice: «Che bello!». E la bravura non attira. Fa paragoni, fa ammirare, fa contestare, ma non attira. Per attirare ci vuole la Bellezza.
(da Huellas, luglio-agosto 2011)