Una panoramica della mostra

I colori di una passeggiata nel parco

Giovanni Frangi espone al Museo Diocesano di Milano "La règle du jeu". Nelle grandi tele, il teatro in cui la pittura si fonde tra astratto e figurativo. Il cromatismo, l'idea di "quadro-installazione": novità di un artista all'avanguardia
Luca Fiore

Si canimus silvas, silvae sint consule dignae. Questo straordinario verso dell’Egloga IV di Virgilio riassume meglio di qualsiasi altra definizione l’opera degli ultimi quindici anni di Giovanni Frangi: se cantiamo i boschi, che siano boschi degni di un console. Ne è nuova dimostrazione la suite di sontuose tele di grande formato che il pittore milanese espone in questi giorni al Museo Diocesano di Milano dal titolo “La règle du jeu - atto secondo. Dieci giardini”. “Atto secondo”, recita il titolo, perché la mostra, curata da Paolo Biscottini, è l’evoluzione di un’idea nata prima con il quadro Giardini pubblici esposto l’anno scorso al Mart di Rovereto e poi sviluppatasi con La règle du jeu, la mostra al Teatro India di Roma nella quale si potevano vedere sei delle dieci tele esposte a Milano. “L’occasione” è banale: una passeggiata al parco di via Palestro a Milano. Frangi ha lavorato su alcune foto scattate da lui: tronchi d’albero, una stradina, le ombre della sera che tagliano il selciato. Il soggetto è quasi sempre lo stesso, a cambiare è il colore. Ciascuna tela, infatti, è dipinta quasi esclusivamente usando diverse variazioni di uno stesso colore: blu, nero, giallo ocra, azzurro. Otto di queste tele monumentali (260x420cm) sono disposte sulle pareti del lungo corridoio del Museo, mentre altre due (365x300cm) chiudono i lati corti. Sulle tele laterali si ripete la visione del parco dal punto di vista di chi si trova sul sentiero e guarda di lato, mentre nei quadri sul lato corto il sentiero appare in prospettiva. Insomma, camminando lungo il corridoio si ha l’impressione di trovarsi all’interno del parco pubblico e la linea del sottile cordolo segna il percorso su entrambe le pareti come una profonda cicatrice. È affascinante quel che scrive Massimo Recalcati nel bellissimo saggio in catalogo: «Il parco pubblico è in effetti diventato frequentemente teatro con l’incontro con il reale, ovvero dell’incontro con l’emergenza del carattere enigmatico dell’esistenza. La scena consueta del mondo si decompone, si scuce, si sfilaccia di fronte all’emergenza di un reale che si vorrebbe mantenere sempre a distanza e che invece s’impone perturbando la cornice falsamente garantita della realtà abitudinaria».
La prima cosa che colpisce di questo lavoro di Frangi è la sua incondizionata fede nella pittura. La sua arte, cioè, non è a servizio di un discorso che sta, chissà dove, fuori dai quadri, ma tutto si gioca dentro: nella ricerca cromatica, nelle forme, nei volumi e nella prospettiva. La persuasività di queste tele, cioè, è affidata alla bravura del pittore che è in Frangi e non al filosofo o al poeta. Tuttavia Frangi non commette l’errore di polemizzare con l’imperante arte concettuale di oggi e di ieri, non fa finta di non vedere quel che è accaduto e che accade sulla grande scena artistica mondiale. Anzi, questa mostra dimostra come sia possibile trovare una sintesi convincente tra la pittura-pittura e il concettuale.
Il primo aspetto di questa sintesi è quello di azzerare la distinzione pittura figurativa e astratta. La spina dorsale dei suoi lavori è sempre figurativa, ma lo svolgimento non lo è per forza. Il secondo è quello di abbandonare l’idea tutta ottocentesca del «quadro solitario da appendere in salotto» scegliendo di concepire le sue mostre come vere e proprie installazioni in cui la progettualità ha un ruolo determinante. Nelle sue personali non vedrete dunque una selezione dei suoi migliori quadri, ma delle opere pensate come un insieme destinato al luogo nel quale verranno esposte. In questo modo Frangi si pone in dialogo con i grandi pittori della seconda metà del ’900, artisti del calibro di Sigmar Polke (da vedere il ciclo viola attualmente esposto a Punta della Dogana a Venezia), e Cy Twombly (indimenticabile la serie di rose di una delle ultime personali da Gagosian). A quest’ultimo, scomparso pochi giorni fa, la mostra di Frangi sembra essere degno tributo.

Giovanni Frangi, "La régle du jeu - Atto secondo. Dieci Giardini"
Milano, Museo Diocesano
Dal 7 luglio al 3 settembre
Ingresso Libero