Una scena di "Laudes".

L'uomo, in scena sette giorni

Per una settimana, la cittadina toscana si trasforma in palcoscenico per 27 spettacoli nella seconda edizione de "I Teatri del Sacro". «Una sfida su cui si apre un mondo. E c’è davvero chi ha un’esperienza seria da mettere in atto»
Paola Bergamini

In questi giorni, tra le vie di Lucca, c’è un’insolita animazione. Passando davanti alla chiesa di Santa Maria dei Servi, all’Oratorio di San Giuseppe e in altri luoghi famosi del centro storico è possibile sentire uno scrosciare di applausi. Dal 19 al 25 settembre, infatti, la cittadina toscana si trasforma in un grande palcoscenico per i 27 spettacoli della seconda edizione de "I Teatri del Sacro", tra cui "Lazzaro, vieni dentro!", "Laudes" e "Io ti prendo per mano". «Più di un Festival. È un’avventura artistica e culturale», spiega Gabriele Allevi, direttore artistico di deSidera Teatro Festival della diocesi di Bergamo, uno degli ideatori di questa avventura.
Cosa significa oggi “Teatro Sacro”?
Questo è il punto fondamentale. Teatro sacro non vuol dire necessariamente sacra rappresentazione o solo l’affronto del tema biblico, evangelico, bensì quello antropologico.
Cosa vuol dire?
Il senso religioso. Le domande ultime dell’uomo sono già un modo di affrontare il tema religioso e di porlo nel linguaggio teatrale. Una sfida su cui si apre un mondo, e c’è davvero chi ha un’esperienza seria da mettere in atto.
Un esempio?
Nella scorsa edizione, una compagnia bergamasca di giovani ha approcciato il tema del sacro partendo dalla memoria dei genitori, dei nonni. Hanno studiato le tradizioni popolari, le giaculatorie, le preghiere. Hanno messo tutto se stessi tanto che è nato uno spettacolo di una religiosità splendida. È stato per loro un punto di riflessione che li ha portati quest’anno a mettere in scena il Caligola di Camus. E provenivano da esperienze lontane dal quella cristiana.
Facciamo un passo indietro. Come è nata l’idea di questo Festival?
Alcuni anni fa con Vittorio Sozzi, del servizio nazionale per il Progetto culturale della Cei e altri responsabili come me di esperienze teatrali legate alle diocesi, è sorta l’esigenza di fare una riflessione sul tema del sacro in teatro. Bisogna tener presente che in Italia c’è la Federgat, un associazione di compagnie legate al mondo cattolico che svolgono animazione per lo più nelle cosiddette Sale di comunità, che sta sempre più prendendo piede. Per intenderci: i vecchi cinema parrocchiali sono stati ristrutturati e hanno una propria compagnia. Una galassia sconosciuta, ma molto interessante. Da una riflessione teorica è poi nata l’idea, soprattutto da parte di chi segue sul campo queste esperienze, di fare un festival. La Cei ha messo a disposizione i fondi e così nel 2008 abbiamo fatto un bando nazionale e con nostra grande sorpresa hanno aderito 160 compagnie sia amatoriali che professioniste, tra cui anche alcuni teatri stabili. Nel 2009 la prima edizione del Festival.
C’è quindi un anno di lavoro?
Sì. Una prima selezione avviene dalla lettura dei progetti cartacei, in un secondo momento le compagnie vengono chiamate a esibire venti minuti del loro spettacolo. La commissione, di cui faccio parte, infine sceglie gli spettacoli che, finanziati nella produzione, vedranno la loro prima rappresentazione proprio al Festival. C’è anche una post produzione. Che è, a mio avviso, molto importante.
In che senso?
Abbiamo un occhio di riguardo per le compagnie di giovani che magari hanno formazioni molto lontane dall’esperienza religiosa, ma che affrontano questi temi con coraggio e con esiti sorprendenti. Per queste realtà cerchiamo di facilitare la strada della distribuzione attivando il circuito delle Sale di comunità. La Federgat e l’associazione delle Sale di comunità usa parte del finanziamento per agevolare le sale che chiamano questi spettacoli. Due anni fa alcune rappresentazioni hanno avuto fino a 70 repliche.
Lei coordina insieme a Giorgio Testa il laboratorio “I 70 visioni e condivisioni”. Un viaggio ermeneutico è stato definito. Ma cosa significa?
Settanta spettatori, provenienti da tutta Italia, che fermandosi tutta la settimana e vedendo tutti gli spettacoli, fanno un percorso di approfondimento. Quando non ci sono messe in scena questo gruppo si raduna e discute di quanto visto o di quello che si andrà a vedere. L’idea è quella di una pedagogia all’introduzione della visione, imparare a leggere il linguaggio teatrale. Chi partecipa sono per lo più operatori del settore ed la possibilità di acquisire degli strumenti di lettura per il teatro.
Come mai Lucca?
Cercavamo una città importante dal punto di vista dei beni culturali, ma non dispersiva. Nella scorsa edizione tutta la popolazione si è coinvolta. All’inizio della settimana c’erano 50/70 spettatori ad ogni messa in scena a fine settimana…. Solo posti in piedi. Tutto esaurito. È stato uno spettacolo nello spettacolo. Come deve essere il teatro: un’occasione di partecipazione popolare.

Per informazioni: www.iteatridelsacro.it