Il rischio arabo

TRADUZIONI - AL CUORE DEL DIALOGO
Massimo Borghesi

L’educazione secondo don Giussani e piazza Tahrir. Due mondi lontani, ma solo in apparenza. Abdel-Fattah Hassan, già parlamentare dei Fratelli Musulmani, ha tradotto Il rischio educativo: «Un libro per tutti gli uomini». Che illumina anche le sfide dell’Egitto (e dell’islam) di oggi. Perché è un ponte tra tradizione e modernità

La traduzione de Il rischio educativo di Luigi Giussani in lingua araba, da parte di Abdel-Fattah Hassan, professore di Letteratura italiana alla Ain Shams University del Cairo, in Egitto, è, certamente, un fenomeno di rilievo che segue tre altri eventi significativi: la traduzione in arabo de Il senso religioso di Giussani, nel 2006; il Meeting del Cairo, dal titolo “La bellezza, spazio del dialogo”, nell’ottobre del 2010; la rivoluzione di piazza Tahrir, ancora in corso. A questi tre episodi se ne aggiunge ora un quarto: la traduzione de Il rischio educativo - l’opera che, insieme a Realtà e giovinezza. La sfida (Sei, 1995) costituisce il cuore del metodo educativo di Giussani -, a testimonianza di quanto sia mobile e ricca di fermenti l’attuale realtà egiziana.
L’interesse della traduzione sta, innanzitutto, nella figura del traduttore. Abdel-Fattah Hassan è, infatti, un membro dei Fratelli Musulmani, eletto, nel 2005, al Parlamento egiziano. Un’appartenenza che provoca, inevitabilmente, la domanda su quale interesse possa rivestire, per un esponente dei Fratelli Musulmani, un testo sull’educazione scritto da un sacerdote cattolico. La risposta viene dal diretto interessato che, nel suo intervento molto apprezzato al recente Meeting di Rimini, ha indicato, con chiarezza, almeno due motivi di attenzione. Il primo è dato dal fatto che il libro appare «scritto non solamente per gli italiani, non solamente per il mondo cattolico. Mi sembra che un libro del genere con questo contenuto sia stato scritto per tutte le società, qualunque sia la cultura, qualunque sia la religione, l’educazione». Il secondo, dal fatto che Hassan ha avuto l’impressione che il testo «toccasse alcuni punti essenziali della nostra società, sia in Egitto che in tutto il mondo, specialmente in questi giorni».

L’umano dentro di noi. Che il testo appaia ad Hassan come scritto per «tutti», indipendentemente dall’appartenenza religiosa e culturale, è una conferma dell’impostazione antropologica che soggiace al metodo educativo di Giussani: una visione universale dell’uomo imperniata sulla presenza di un «cuore» comune, di un «volto interiore» luogo di esigenze fondamentali e costitutive dell’umano, indipendentemente dalla latitudine e dai particolarismi culturali. Per Hassan ciò significa che «l’educazione vera è quella che educa l’umano dentro di noi, un’educazione dell’umano, dell’originale che è in noi sempre uno, in tutti i Paesi sempre uno». Questa prospettiva universale è molto importante in un momento in cui l’Egitto, dopo piazza Tahrir, necessita di un modello educativo capace di valorizzare le differenze (musulmani e cristiani copti) e al contempo di trascenderle nell’operare di una casa comune. Come ha affermato Hassan a Rimini, il nuovo Egitto non può essere governato da uno «Stato teocratico». Un’affermazione importante che misura la diversità di vedute che c’è, in questo momento, all’interno del mondo dei Fratelli Musulmani. La Primavera araba, secondoHassan, ha bisogno di dialogo, di convivenza, di riconoscimento reciproco. Qui il testo di Giussani, fondato sull’apertura universale della ragione, diventa prezioso. «Ecumenismo - scriveva ne Il rischio educativo - è il nostro vero concetto di cultura. I primi cristiani non usavano il termine di “cultura”; hanno incominciato usando questo altro termine: oikoumène, ecumenismo». Il cristianesimo, aggiungeva, «è entrato nel mondo portando la eirène, la pace».
L’accoglimento di questo punto di vista, da parte del professor Hassan, non è affatto scontato, così come non è ovvia l’idea che esista un’antropologia universale, non meramente «islamica». Hassan, in realtà, ha ben compreso come l’impostazione di Giussani può aiutare i Fratelli Musulmani a far fronte alla sfida del momento: quella concernente il rapporto tra tradizione religiosa e modernità. Come affermava Wael Farouq, presentando nel 2007 la traduzione de Il senso religioso a Roma, la crisi del pensiero arabo dipende dalla scissione che l’attraversa: «Da un lato, i partigiani della tradizione, che vivono nel “qui”, ma non nell’“adesso”, perché risiedono nel glorioso passato; dall’altro, i partigiani della modernità, che vivono nell’ “adesso”, ma non nel “qui”, perché la loro coscienza migra verso il mito dell’Occidente moderno». L’opposizione tra occidentalisti e tradizionalisti religiosi è il punto «critico» che travaglia il mondo islamico da più di mezzo secolo, che sembra trovare una possibilità di svolta proprio nella Primavera araba.

Il sacco del discepolo. Ora per Hassan l’interesse del testo di Giussani sta proprio nella possibilità, che esso offre, di ricucire e di superare tale dilacerazione: quella tra fondamentalismo e modernismo. Non lo dice esplicitamente, ma lo lascia intendere là dove sottolinea l’importanza della «dimensione religiosa» nel processo educativo, la quale però non deve essere antitetica all’«educazione alla critica». Nell’introduzione al suo volume, Giussani indicava la sintesi del metodo educativo in tre fattori: la valorizzazione della tradizione, la sua ripresa attualizzante a partire da un vissuto presente che sottolinei la corrispondenza con il cuore, la riflessione critica di ciò che viene acquisito. Il terzo punto indica il confronto con il moderno e con le sue esigenze. È il confronto con il «sacco», richiamato anche da Hassan. Il «sacco», cioè la tradizione culturale insegnata, deve, nel passaggio dall’infanzia all’età adulta, diventare problema. Solo così si ha la maturazione della persona e il contenuto tramandato, insegnato, può diventare una libera persuasione. Il «sacco» deve essere rovistato e «questo “rovistarci dentro” si dice krìnein, krìsis, da cui deriva “critica”». Maestro è qui colui che favorisce, nel discepolo, questo processo critico. Lo scopo è quello di «liberare i giovani dalla schiavitù mentale, dalla omologazione che rende schiavi mentalmente degli altri». Per questo una tradizione viva in tanto supera il «tradizionalismo» in quanto è critica, è capace di dar ragione di sé e, insieme, delle ragioni dell’altro. «Noi - scriveva Giussani - siamo abituati a cercare ogni cosa, ogni cosa, per quel poco di bene che possa aver dentro ed esaltarla, sentirla fraterna, compagna di viaggio. Perciò è un abbraccio universale».
L’educazione diviene qui il ponte tra la tradizione e la modernità. Un ponte, che la Chiesa cattolica ha realizzato con il Concilio Vaticano II, la cui costruzione, oggi, interpella il mondo islamico in generale. L’Egitto, dopo la rivoluzione di piazza Tahrir, si trova al centro di questa costruzione. La resistenza e la vittoria sul regime non è stata solo un moto di piazza, frutto della reazione e del risentimento generati da una situazione generale di oppressione e di corruzione. È stata, anche, una grande esperienza educativa in cui giovani ed anziani si sono ritrovati uniti in un movimento popolare in cui musulmani e cristiani si sono scoperti, per la prima volta, parte di una stessa storia. Un movimento non violento che ha individuato, simbolicamente, nella storica piazza del Cairo lo spazio della propria libertà e fraternità.

Compromesso o cambiamento. La sfida dei prossimi mesi è che la memoria di questa esperienza non vada perduta. Il rischio di un compromesso tra i tradizionalisti, presi in contropiede dagli avvenimenti della Primavera araba, e la casta militare, è reale. In tal caso, come nel caso de Il gattopardo di Tomasi di Lampedusa, tutto sarebbe cambiato per rimanere come prima (o peggio di prima). Diversamente, raccogliendo fino in fondo la sfida di un cambiamento capace di coniugare e non di opporre la tradizione religiosa alla modernità, l’Egitto potrebbe diventare, al pari della Turchia odierna, un modello per tutto il mondo arabo.
Alla soluzione positiva di questa sfida i due testi di Giussani tradotti in lingua araba, Il senso religioso e, ora, Il rischio educativo, apportano un importante contributo sui due nodi che la rivoluzione è chiamata a sciogliere: quello dell’educazione al riconoscimento dell’altro, e, quindi, alla convivenza e al rispetto tra tradizioni e religioni diverse; quello dell’elaborazione di una carta costituzionale in cui i diritti di tutti siano affermati a partire da una concezione universale dell’uomo.