Letizia Fornasieri, Mattina di aprile, 2010.

Le trame della vita, il cuore della pittura

A Palazzo Durini, fino al 24 ottobre, la pittrice milanese Letizia Fornasieri espone 40 lavori realizzati negli ultimi anni. Dalle foto sovradipinte dei vigneti toscani ad alcuni scorci di vita domestica. Un racconto della «felicità di esistere»
Marina Mojana

«Quell’apparente ritardo di Letizia sull’arte contemporanea ha tutta la mia simpatia» parola di gallerista. James Rubin, figlio d’arte nato in America da famiglia ebrea, conosce Letizia Fornasieri a Milano, quindici anni fa. Nel 1998 diventa il suo gallerista di riferimento, in un rapporto umano e professionale che Rubin - oggi - non stenta a definire “sconvolgente” e aggiunge: «Questa mostra è il mio regalo per lei».
Dal 6 al 24 ottobre, nelle sale settecentesche di Palazzo Durini, un edificio a ridosso della caotica via Torino dove ha sede la Fondazione Alessandro Durini, Letizia Fornasieri espone 40 lavori realizzati tra il 2009 e il 2011 col titolo Tra Milano e Asciano con una puntata a Parigi. Quattro sale per una personale importante, dove la maturità raggiunta dalla pittrice milanese, messa in risalto dalla splendida location, è merito anche del suo gallerista.
«Alla sua pittura ho dato una disciplina - racconta James Rubin - ho insegnato a Letizia a essere meno istintiva, a pulire, a sintetizzare». La Fornasieri dal canto suo preferisce dipingere a olio su tavola perché «la tela molle mi dà un senso di precario» ammette; struttura i quadri come Braque (il cubista francese), li colora come Ennio Morlotti (l’informale lombardo) e mette sempre a tema la realtà. «I fatti della vita sono la storia di un dialogo misterioso con il trascendente, che per Letizia merita un’attenzione costante e rispettosa» spiega James Rubin in catalogo. Una via cittadina col tram in corsa, una bancarella del mercato, un vaso di ranuncoli, un campo di girasoli, la mamma Margherita appisolata vicino alla lavatrice sono visioni assetate di colore, che diventano presenze cariche di materia. La sua pittura “come una volta” non è mai noiosa; c’è un grande talento e c’è molto mestiere; c’è quell’arte del dipingere di cui Letizia Fornasieri è una «testimone vivente» - come dice il suo gallerista - o una «custode fedele» come dice lei, appassionata di Varlin e di Congdon, punti di riferimento di tutta la sua ricerca pittorica.
In questa mostra si sente il racconto della felicità di esistere e si possono vedere, per la prima volta in pubblico, anche una dozzina di foto sovradipinte a olio il cui soggetto è una vigna. Sono scatti fatti dall’artista nell’arco di un intero anno nei vigneti di Mocine, un’azienda agricola in località Asciano, a 20 km da Siena, appartenuta nel ‘500 ai Venturi, passata al principe Von Schoenburg Waldenburg negli anni ’30 del secolo scorso, con il palazzo e tutto il podere, e poi ceduta nel 1979 agli attuali proprietari, amici di Letizia.
«Sono partita spavalda - confessa Fornasieri - pensando che bastasse saper disegnare per fare un buon lavoro, ma mi sono subito accorta che non bastava la tecnica, ci voleva la conoscenza». In effetti l’artista non aveva mai visto una vigna prima di allora, non aveva mai vendemmiato una volta in vita sua e il bel quadro non usciva. «Ho iniziato ad attendere che l’oggetto si rivelasse, sono tornata più volte ad Asciano, ho guardato i vigneti in tutte le stagioni». Come Monet stava ore e ore davanti ai pioppi prima di dipingerli, seduto su un barchino sul fiume Epte, così Fornasieri ha attraversato la vigna di Mocine con la sua Opel Astra blu, facendo schizzi e scattando foto. Ne sono usciti lavori freschi, veloci, felici: «Il cuore della pittura a volte è lo stesso della terra, qualcosa che batte da qualche parte… con una sconvolgente, misteriosa semplicità» (Jacques Prévert nella raccolta Sole di notte).

Letizia Fornasieri
Dal 6 al 24 ottobre
Palazzo Durini

Via Santa Maria in Valle, 2
Milano
Tutti i giorni dalle 13 alle 19
Ingresso libero