Una delle fotografie di Chiaramonte.

Il Vangelo incontra l'arte contemporanea

Sei grandi artisti al servizio della liturgia e «un cambiamento del metodo con cui la Chiesa affronta l'arte». La grande novità dell'Evangeliario Ambrosiano, raccontata dal cardinale Angelo Scola e da uno di loro, il fotografo Giovanni Chiaramonte
Luca Fiore

«Guardare, guardare molto». È stato questo l’invito rivolto a tutti dall’arcivescovo di Milano Angelo Scola nel corso della presentazione del nuovo Evangeliario ambrosiano, donato alla città come segno di gratitudine dal cardinal Dionigi Tettamanzi e illustrato da alcuni grandi artisti contemporanei (Giovanni Chiaramonte, Nicola De Maria, Mimmo Paladino, Nicola Samorì, Ettore Spalletti, Nicola Villa). «Questa iniziativa - ha detto Scola durante la presentazione della mostra a Palazzo Reale dedicata alle tavole degli artisti - ha in sé un grandissimo coraggio perché ci costringe a cogliere la bellezza del nesso tra la vita di Gesù, che i Vangeli narrano, e la realtà quotidiana, attraverso forme artistiche espressive che, almeno per chi non sia un addetto ai lavori, non sono sempre di immediata comprensione. Ma in questo si iscrive bene la fase che stiamo vivendo. In un tempo di grande travaglio, un tempo di grande cambiamento è normale che l’arte riproduca questa cifra del travaglio e di fronte ad essa - dico ciò che tento di fare io - proprio in forza della natura stessa dell’espressione artistica il problema non è tanto capire, non è tradurre in concetti o in interpretazione, ma guardare, guardare molto». Il cardinale Scola ha desiderato fare sua l’iniziativa di Tettamanzi tanto da promuovere in prima persona le tre mostre a Palazzo Reale, al Centro San Fedele e alla chiesa di San Raffaele che mostrano il risultato del lavoro fatto per il nuovo Evangeliario. In questo contesto il Cardinale di Milano ha detto che l’arte contemporanea «ha una forza liberante perché ti sposta continuamente, ti porta in alto e queste illustrazioni (quelle dell’Evangeliario, ndr) hanno proprio questo compito». «Il percorso della mostra – ha continuato l’Arcivescovo –, coniugando la preziosa e imprescindibile eredità della tradizione con la provocazione del presente, ci rimette davanti agli occhi uno dei “fondamentali” della nostra fede, quello che Kierkegaard definisce “l’unica situazione” in cui l’uomo può trovarsi nei confronti di Cristo: la contemporaneità».
Nel clima di reciproca diffidenza che segna ormai da un secolo i rapporti tra Chiesa e arte contemporanea, l'esperienza dell'Evangelario ambrosiano segna un passo significativo. A confermarlo è uno degli artisti chiamati a collaborare, il fotografo milanese Giovanni Chiaramonte. «Al di là dell’esito, questa esperienza segna un cambiamento di metodo nel modo in cui la Chiesa affronta il nodo dell’arte. In questo caso ci siamo trovati a che fare con una committenza responsabile. Dal Cardinale fino all’ultimo degli artisti, ognuno era un plenipotenziario, però ciascuno doveva rispondere all’altro su ogni cosa, su ogni passaggio».
Che cosa ha voluto dire?
Che alcuni di noi hanno letteralmente dovuto rifare delle opere perché non andavano bene. È stato incredibile vedere con che semplicità e disponibilità artisti di caratura mondiale come Mimmo Paladino o Nicola de Maria hanno accettato di essere corretti. Però alla fine il risultato si vede: nella diversità dei linguaggi emerge una sostanziale unità dell’opera.
È strano che sia stato invitato anche un fotografo…
Sì, la fotografia non è mai stata utilizzata a livello liturgico. Mai. Proprio perché essendo lo specchio istantaneo del tempo, al massimo era stata usata come testimonianza dell’atto con cui la santità della Chiesa si pone nella storia, come era accaduto per le immagini di san Giovanni Bosco e Madre Teresa di Calcutta. Ma la liturgia è un’altra cosa, è la stessa presenza del Signore nella storia, il Mistero che si fa carne. Io quando ho ricevuto la richiesta sono stato chiaro ho detto che non ero affatto sicuro di riuscire a trovare una strada perché non potevo guardare a nessuno prima di me.
Come ne è uscito?
Per mesi non sono riuscito proprio a capire come fare. Poi un giorno mi hanno chiesto di fare delle polaroid a un matrimonio. Durante la festa ho fatto delle foto per me, e a quel punto ho capito.
Cosa?
Che la Polaroid era la via da seguire. Perché il fatto di essere un’immagine istantantanea, che appare a pochi secondi dallo scatto e che però non puoi più manipolare successivamente costituisce un’analogia rispetto a quel che accade nella liturgia. Quando scatti il tuo cuore deve essere pronto ad accogliere, deve essere in ricerca e nello stesso tempo capace di riconoscere subito. Il gesto liturgico riporta l’io al cuore del fatto cristiano, ma non puoi tornare più sull’evento, perché ogni volta l’evento si configura in una sua miracolosa alterità.
Cosa ha deciso di fotografare?
Abbiamo deciso che avrei illustrato le pagine introduttive ai tempi liturgici. La scelta che ho fatto è stata quella di scattare delle immagini nei luoghi dove io prego tutti i giorni. Queste immagini nascono dal mio essere in preghiera e dal fatto che una luce entra istantaneamente in quei luoghi. E allora io scatto.
Che differenza c’è tra queste immagini e quelle che ha realizzato fino ad oggi?
Nel mio lavoro solito lo spazio ha un ruolo fondamentale. Io lavoro col cavalletto, tutto deve essere a fuoco, l’inquadratura è dal primo piano sull’infinito. In queste polaroid lo spazio è come se sparisse per dar spazio al tempo, all’evento. All’evento che è oltre lo spazio e oltre il tempo: è l’istante. Quindi come si vede in tutte queste immagini non c’è il mondo dietro, a porsi è subito il segno. La stella di Davide, la sibilla, Gesù bambino... Per me è stata l’esperienza di una assoluta novità di linguaggio. Ho dovuto come riprendere da capo, mettere da parte tutta la mia tecnica e la mia esperienza e farmi tutto sguardo.

La bellezza nella Parola – Il nuovo Evangeliario ambrosiano e capolavori antichi
9 novembre – 11 dicembre
Milano, Palazzo Reale, Galleria San Fedele, Chiesa di San Raffaele
www.evangeliarioambrosiano.it