Havel saluta la folla in festa per la caduta del Muro.

La primavera di Václav

È scomparso lo scrittore, drammaturgo e politico ceco. Che, nell'opera su "Il potere dei senza potere", dalla cella in cui era rinchiuso esortava a «non vivere nella menzogna». Così, nel 1980, lo recensiva "Tracce"
Francesco Rinaldini

«Ma chi sono veramente questi “dissidenti”? Da dove nasce la loro opposizione e che senso ha? In che cosa consiste il senso di quelle “iniziative indipendenti” su cui i “dissidenti” si aggregano e che reali chance hanno queste iniziative? È opportuno, riferendosi alla loro azione, usare il concetto di “opposizione”? Se sì, che cosa è veramente - nell’ambito di questo sistema - una simile “opposizione” come opera che ruolo gioca nella società, in che cosa spera e in che cosa può sperare? Hanno i “dissidenti” come uomini che sono al di fuori di tutte le strutture del potere e nella posizione di “subcittadini - le forze e le possibilità per agire in qualche modo sulla società e sul sistema sociale? Possono, in definitiva, cambiare qualcosa?».
Con queste domande si apre questo breve scritto, Il potere dei senza potere, che Havel ha terminato nell’ottobre del 1978, pochi mesi prima di essere arrestato, e a queste domande quest’opera cerca una risposta. Anzitutto attraverso una riflessione sul carattere del potere nei sistemi socialisti dell’Europa orientale. A questo proposito qui basterà solo riferire che Havel individua una serie di fattori che lo portano a concludere che le forme del totalitarismo socialista sono sostanzialmente diverse da quelle della dittatura classica: Havel designa questa nuova forma di organizzazione del potere come sistema «post-totalitarlo».
Il ruolo che l’ideologia svolge in questo sistema è determinante. Se le intenzioni della vita sono di esprimersi in modo variegato, libero, di costruire secondo la pluralità delle forme, il sistema post-totalitario esige e permette solo una grigia uniformità, il più rigido monolitismo. L’ideologia è chiamata a sanare questa frattura fra le intenzioni della vita e le intenzioni del sistema: ad essa è assegnato il compito di spacciare le intenzioni del sistema come quelle che servono la vita, che la rendono tale. L’ideologia costruisce un mondo dell’apparenza da cui i bisogni autentici della vita sono assenti: essa prende in considerazione l’uomo e i suoi bisogni solo per quanto ciò può contribuire alla realizzazione delle intenzioni del sistema.
Che cosa può rompere questo mondo dell’apparenza costruito dall’ideologia in cui tutti, dal dirigente del partito all’operaio, hanno un ruolo preciso e un compito da svolgere? L’emblematico protagonista del libro, un verduraio, un bel giorno decide di non esporre nella vetrina del negozio che gestisce, il cartello con lo slogan: «Proletari di tutto il mondo unitevi!», uno dei tanti che compongono il panorama del mondo dell’apparenza. Egli, come tutti, ha esposto il cartello per anni: al di là del significato dello slogan, che gli è probabilmente del tutto estraneo, egli ha manifestato la sua fedeltà al mondo dell’apparenza, si è adattato alle circostanze. Così facendo ha posto la sua pietra per l’edificazione di quel mondo, egli stesso ne è divenuto cittadino a pieno titolo nell’unico modo possibile: mentendo.
Il giorno in cui decide di non esporre più il cartello con lo slogan, il nostro personaggio compie un tentativo di vivere nella verità. Questo gesto scatena contro di lui una lunga serie di «punizioni»: perderà il posto di direttore del negozio e tornerà a fare l’operaio, molto probabilmente i figli non potranno accedere alle scuole superiori, subirà angherie da parte dei superiori... Nell’ottica del sistema questi provvedimenti non sono affatto sproporzionati: togliendo il suo mattone dall’edificio della menzogna, il nostro personaggio ne rende instabili le strutture. La «vita nella menzogna», infatti, si perpetua solo a condizione della sua universalità: ogni trasgressione, ogni tentativo di vita nella verità «la nega come principio e la minaccia nella sua totalità». Perciò, afferma Havel, la vita nella verità «non ha solo una dimensione esistenziale (restituisce l’uomo a se stesso), noetica (rivela la realtà com’è), e morale (è un esempio); ma ha anche una evidente dimensione politica». Infatti, nei sistemi post-totalitari il potere si fonda sulla sottrazione ai danni degli uomini della loro esistenza autentica, sulla loro alienazione.
Fornendo una falsa risposta al desiderio dell’uomo, il potere deve far riferimento alla vita autentica che dimora inespressa negli uomini. Celati nel mondo dell’apparenza, della menzogna, vive perciò la sfera segreta inespressa, delle intenzioni della vita. Tuttavia, essa non resta sempre segreta e inespressa: nel momento in cui viene alla luce e si manifesta (in un gesto come quello del nostro verduraio, per esempio) lo fa con un’enorme forza dirompente. Il sistema viene sgretolato dalle sue fondamenta poiché la manipolazione delle intenzioni autentiche della vita gli viene ormai impedita: l’uomo si riappropria dell’espressione del suo desiderio. Se nei sistemi post-totalitari esiste qualcosa che può definirsi «opposizione», non può essere nient’altro che questa «vita nella verità». Di essa non può dirsi a quali scadenze porterà un mutamento generale della società e dell’organizzazione politica, ma è certo che lo porterà. In quale direzione? Havel non «occidentalizza». Paradossalmente il superamento dei sistemi post-totalitari non viene individuato nei sistemi «democratici»: si fa timidamente strada l’idea di un sistema «post-democratico». Ciò rappresenta la prospettiva non utopica della «rivoluzione esistenziale», che è «soprattutto prospettiva di una ricostituzione morale della società, cioè di un rinnovamento radicale del rapporto autentico dell’uomo con quello che ho chiamato “ordine umano” (e che non può essere sostituito da nessun ordine politico). Una nuova esperienza dell’essere; un rinnovato ancoraggio nell’universo; una riassunzione della “responsabilità suprema”; il ritrovato rapporto interiore con l’altro uomo e con la comunità umana - ecco la direzione...». Dalla cella in cui l’autore di queste parole è rinchiuso, esse risuonano ancora più cariche di consapevolezza e serietà, e testimoniano della sua personale assunzione di quella responsabilità suprema verso la verità.
(da CL Litterae Communionis, febbraio 1980)