La madonna del Carmine, in mostra a Sondrio.

Le Madonne vestite delle Alpi

Corredi principeschi, gioielli e profumi. Così nelle valli alpine venivano ornate le statue della Vergine e dei santi. Una mostra nel capoluogo valtellinese racconta, attraverso l'arte e l'etnografia, la fede di un popolo «In confidenza col sacro»
Margherita del Castillo

L’arte di vestire le statue è un fenomeno caro a secoli quali il Cinque e Seicento, che ha a che fare con l’etnografia, l’antropologia, la sociologia e la storia dell’arte. Un’analisi estetica di questi manufatti non può, però, prescindere dal considerarli, prima di tutto, il frutto di un’intensa pietà popolare e di un rapporto col sacro di estrema, quanto naturale, familiarità e confidenza.
La mostra in corso a Sondrio è l’esito di un approfondito, appassionato e multidisciplinare studio a riguardo, circoscritto nelle vallate al centro dell’arco alpino tra l’Alta Lombardia e la Svizzera meridionale. Nella duplice sede valtellinese sono esposte una ventina di statue, simulacri di Santi e Madonne, ricoperte di oro, sete e stoffe pregiate, o lasciate “nude” nella loro forma originale: accanto ad esse sono disposti corredi, talvolta principeschi, gioielli e materiali che documentano usanze e riti legati alla tradizione locale. Si tratta di strutture essenziali, di legno o di altri materiali poveri, con gli arti snodabili, piuttosto che di esemplari più raffinati, accuratamente dipinti, con stesure di gesso e colori, nelle parti che le vesti lasciavano intravvedere. Essi erano sottoposti a cerimonie di vestizione, dei veri e propri riti di sacralizzazione, durante le quali le statue venivano preparate per essere “venerate” in chiesa o portate in processione, quali elementi centrali del culto cui il popolo attribuiva potere salvifico e terapeutico. Occorreva, innanzitutto, che fossero belle e all’occasione venivano anche truccate e profumate: la preziosità degli ornamenti , che riflette comunque il gusto dell’epoca e il livello sociale del committente, doveva, infatti, raffigurare lo splendore e la gloria divina, obiettivo che giustifica l’attenzione e la cura riservate alle parti nascoste alla vista, quali camicie e sottogonne.
La ricerca fin qui condotta su questo particolare genere di icone, considerate appartenenti ad un ambito più affine alle arti applicate che non alla scultura, ha permesso di distinguere tra prodotti artigianali di falegnamerie di paese e statue intagliate, invece, da botteghe di livello anche alto, se non ottimo. La mappa con cui si apre il percorso espositivo dimostra la capillarità e la diffusione, su un territorio non solo valtellinese, di queste effigi da accudire e, quindi, una consuetudine con il Sacro che investe la quotidianità di un variegato universo di protagonisti, dai committenti, laici od ecclesiastici, ai bottegai, agli intagliatori, ai pittori, indoratori, falegnami, sarte, orefici, parroci, sagrestani, e semplici devoti e donatori che fino al secolo scorso hanno continuato ad omaggiare la Vergine e i Santi loro protettori dei propri vestiti e oggetti preziosi.