Gilbert Keith Chesterton.

Chesterton, un dono del Novecento

La pubblicazione dedicata al grande autore inglese arriva anche in Italia. Motivo? «Le sue provocazioni sono valide ancora oggi», spiega Edoardo Rialti, uno dei collaboratori: «E, soprattutto, era un vero laico...»
Luca Fiore

«In Italia l’attenzione per G.K. Chesterton è stata come un fiume carsico. È passata da periodi di entusiasmo a momenti di quasi indifferenza. Ma nell’ultimo decennio, con una valanga di pubblicazioni, l’interesse è tornato a essere grande». Così Edoardo Rialti, docente di Letteratura inglese e americana alla Facoltà teologica di Firenze, spiega l’approdo nel nostro Paese di The Chesterton Review, la rivista espressione del G.K. Chesterton Institute for Faith and Culture diretto da padre Ian Boyd. Realizzata in collaborazione tra un gruppo di realtà che vanno dalla Civiltà Cattolica all’editore Lindau, la versione italiana debutta con un numero dedicato al duplice centenario caduto nel 2011: la nascita del personaggio di padre Brown e la pubblicazione della Ballata del cavallo bianco. Oltre allo stralcio di un altro importante testo chestertoniano, La Resurrezione di Roma, il volume presenta contributi di Antonio Spadaro, Dermot Quinn, Paolo Pegoraro, Saverio Simonelli e dello stesso Edoardo Rialti.

Come si è arrivati alla nascita della rivista italiana?
È stata decisiva l’iniziativa di Andrea Monda, collaboratore di Avvenire e dell’Osservatore Romano, e padre Antonio Spadaro, direttore della Civiltà Cattolica, che hanno organizzato, nel maggio scorso, una giornata di studi dedicata a Chesterton. Per la prima volta, coinvolgendo anche padre Boyd, si è riusciti a radunare la maggior parte degli studiosi italiani dello scrittore inglese. I contributi di quella giornata hanno dato vita a questo numero della Chesterton Review.

Tenore divulgativo o pubblicazione per addetti ai lavori?
Quando si scrive di autori come Chesterton, che sono allo stesso tempo profondi, godibili e popolari, si spera di essere sulla stessa frequenza d’onda del maestro...

È ancora attuale la sua vis polemica?
Chesterton resta anche oggi un autore scomodo. Le faccio un esempio: qualche giorno fa Alberto Melloni, sul Corriere della Sera, ha recensito - stroncandola - una raccolta di saggi intitolata La superstizione del divorzio. Gli argomenti sono raccattati tra le leggende che sono in circolo da sempre: Chesterton avrebbe avuto simpatie fasciste e tendenze antisemite... Tutte balle. La verità è che qualcuno vorrebbe che la sua opera restasse confinata alle parrocchie, ma Chesterton non riesce a stare confinato da nessuna parte.

In che senso?
Durante la sua vita ha dialogato tutti, anche con i più grandi atei del Novecento: George Bernard Shaw, A.H.Wells... La maggioranza dei suoi libri, cosa che anche molti cattolici fanno un po’ fatica a digerire, sono stati scritti prima della conversione del 1922: Ortodossia è del 1908, La sfera e la croce del 1911, Padre Brown del 1912. E la maggior parte dei saggi sulla politica e sulla società, sul matrimonio, sulla sessualità, sulla salute, sono stati scritti senza quasi alcun riferimento diretto alla Chiesa cattolica.

Perché?
Perché si appella alla ragione. Per questo è stato capace di dialogare con persone che la pensavano in modo molto diverso. Anzi, il mio personale giudizio è che strumenti come i saggi, le traduzioni e anche la Chesterton Review, devono servire a ribadire il suo sacrosanto diritto a stare nel mondo laico. Chesterton è un grande dono del Novecento, ed è per tutti. Non è un caso che a scrivere alcuni dei più bei testi su di lui siano state persone non credenti. Giulio Giorello, ad esempio, ha scritto una meravigliosa postfazione a Eretici. Chesterton deve restare in circolo, perché fa bene all’organismo...