Andrej Rublëv, Ascensione.

La bellezza che accorcia i confini

Giotto a Mosca. Rublëv a Firenze. Uno scambio di gioielli artistici e non solo. Tutto il 2011 ha visto oltre 400 manifestazioni culturali tra Italia e Russia. Segni di quell'unità che fatica a tornare, ma che fa parte dei due popoli
Adriano Dell'Asta

L’anno dello scambio culturale tra Italia e Russia si è concluso con un’iniziativa di enorme valore. Il 19 dicembre sono arrivati alla galleria Tret’jakov di Mosca due capolavori di Giotto e della sua bottega: la Madonna col Bambino e il Polittico di Santa Reparata, mentre il 21 dello stesso mese sono arrivati nel Battistero di Firenze tre gioielli dell’arte iconografica russa: una Madre di Dio Odighitria, realizzata a Pskov alla fine del XIII secolo, la famosa Ascensione del 1408, opera del santo monaco Andrej Rublëv, e una Crocifissione, eseguita da Dionisij nel 1500.
L’esposizione, che resterà aperta fino alla metà di marzo, si inserisce nelle iniziative culturali che ha visto l’Italia organizzare nel 2011 in Russia non meno di 400 grandi manifestazioni, realizzate non solo nella capitale e a San Pietroburgo ma anche in una quarantina di altri centri. La Russia è stata attraversata in tutta la sua estensione da manifestazioni dei tipi più diversi, dalla grande mostra di Caravaggio realizzata al Museo Puškin di Mosca alle esposizioni di singoli capolavori esposti prima all’ambasciata italiana e poi più a lungo in museo, dalla tournée siberiana del Piccolo Teatro di Milano con Arlecchino servitore di due padroni alle mostre e ai concerti realizzati al Circolo polare artico, nella città di Salechard, centro amministrativo di una delle regioni petrolifere più importanti per l’odierna economia russa ed europea.
In questo quadro imponente, il valore dell’iniziativa incrociata tra Firenze e Mosca trascende il significato, pur eccezionale, del solo aspetto artistico, perché, se è vero che è assolutamente raro vedere capolavori di questa importanza lasciare le rispettive collocazioni tradizionali, è anche vero che in questo caso l’iniziativa risulta avere un valore simbolico molto più ampio e globale, come è risultato evidente dai discorsi che hanno segnato l’inaugurazione dell’esposizione moscovita, avvenuta alla presenza di diversi ministri in rappresentanza del governo russo, del metropolita Ilarion, responsabile del dipartimento delle relazioni estere della Chiesa Ortodossa Russa, di mons. Betori, arcivescovo di Firenze (di cui è da poco stata annunciata la nomina cardinalizia) e dell’ambasciatore d’Italia nella Federazione Russa, A. Zanardi Landi.
Di quell’occasione vanno segnalati in particolare i due discorsi dei rappresentanti ecclesiali. Monsignor Betori ha illustrato il valore dell’arte sacra riferendosi ampliamente ai canoni stabiliti nel II Concilio di Nicea (il settimo e ultimo concilio celebrato insieme dalla Chiesa d’Occidente e da quella d’Oriente, prima del doloroso scisma del 1054), svoltosi nel 787 proprio per difendere la liceità della pittura delle icone. Il rappresentante della Chiesa cattolica romana ha dunque motivato le ragioni della pittura sacra fondandosi su una tradizione che si era affermata in Oriente e che appunto dall’Oriente è stata difesa e poi trasmessa a tutto l’universo cristiano.
Dal suo canto, il metropolita Ilarion ha ripreso e sviluppato i motivi anche attuali di questo valore, riferendosi tra l’altro ad uno dei più famosi studiosi dell’iconografia del secolo scorso, il grande Leonid Uspenskij. Il fatto significativo, e quasi speculare rispetto al discorso di monsignor Betori, è che Uspenskij, russo e ortodosso, aveva scoperto e studiato l’icona solo in Occidente, quando vi era arrivato dopo la rivoluzione e la guerra civile; prima aveva avuto una storia ben diversa, che lo aveva portato a prendere parte alla tragedia rivoluzionaria, militando in una delle formazioni più agguerrite dell’Armata Rossa.
Così attorno a questo scambio di gioielli artistici è come se fossero risultate in maniera ancor più evidente le ragioni di un’unità che, pur faticando a ritornare, è però profondamente inscritta nei cuori e nelle menti dei fedeli di entrambe le parti.
Ma dai discorsi dei due rappresentanti ecclesiali, questa unità ha ricevuto anche una declinazione ancor più interessante; il metropolita Ilarion, citando Uspenskij, ne ha ricordato un giudizio assai curioso secondo il quale «se durante il periodo iconoclasta la Chiesa ha lottato per l’icona, nella nostra epoca è invece l’icona a lottare per la Chiesa. Essa è chiamata ad avere un ruolo che fino ad oggi non ha mai avuto nel cristianesimo. Quando perde valore e cessa di esprimere il proprio contenuto, la parola è sostituita dall’immagine; è quest’ultima che è chiamata oggi a testimoniare la Chiesa, a essere una manifestazione visibile della sua unità indistruttibile».
Contemplando il bello splendore del vero, gli uomini ritrovano non solo le ragioni della loro unità, ma in questa bellezza possono ritrovare anche le forze per far fronte concretamente alla crisi di cui oggi soffre tutto il mondo, una crisi fatta in gran parte di perdita del significato della vita, prima ancora che di mille motivazioni economiche o politiche.