Charles Péguy.

Operai di tutto il mondo, leggete Péguy

Si è tenuto l'incontro sullo scrittore francese a conclusione del ciclo "I cercatori". Due ospiti molto diversi: Giancarlo Cesana e Giulio Sapelli. Entrambi provocati dal poeta: «Arriva alla fede andando a fondo di ciò che avviene»
Francesca Mortaro

«C’è qualcosa di peggio dell’avere un cattivo pensiero. È avere un pensiero bell’e fatto. C’è qualcosa di peggio dell’avere una cattiva anima e anche del farsi una cattiva anima. È avere un’anima bell’e fatta. C’è qualcosa di peggio anche dell’avere un’anima perversa. È avere un’anima abituata». Sono parole di Charles Péguy. È lui l’ultimo protagonista del ciclo di incontri, “I cercatori”, organizzato dal Centro Culturale di Milano al Teatro Dal Verme. La ricerca era cominciata dai testi di Nietzsche e proseguita poi con quelli di Dostoevskij. «Con il poeta francese abbiamo voluto fare un passo ulteriore», spiega Camillo Fornasieri, direttore del CmC. «Questo scrittore cerca sinceramente», aggiunge Pigi Colognesi, mediatore dell’incontro, «arriva alla fede andando a fondo di ciò che avviene. La sua scrittura segue proprio la logica dell’avvenimento. Nei suoi manoscritti non troviamo nessuna correzione: quello che avviene rimane».

Andrea Carabelli, attore di teatro, sul palco recita i testi dello scrittore francese. Parole vive e attuali. «Ci sono due esperienze», afferma nella Deuxieme elegie: «C’è l’esperienza come essa è, come esce dal ventre della natura, tutta piena ancora delle scorie e dei fanghi, ribelle anche alle leggi. E l’altra esperienza. L’esperienza lavata, ripulita, vestita dalle mani dei migliori creatori». L’esperienza materiale e l’esperienza scientifica. Come si può documentare quello che descrive Péguy rispetto alla deriva scientista di oggi? Risponde Giancarlo Cesana, Presidente della Fondazione Ca’ Granda dell’Ospedale Maggiore Policlinico di Milano. «Lo scientismo si vede soprattutto nella volontà di controllare le cose». E fa riferimento alla sua esperienza di medico. «Oggi nel mio campo il tentativo è quello di curare la persona attraverso i suoi geni. Tanto che si sa tutto di ciò che è piccolo ma nulla di ciò che è grande. È facile controllare un ambito ristrettissimo della realtà, ma così si perde il senso globale».
Lo scrittore francese spiega chi è per lui il genio: «Non nasce mai, non arriva mai troppo tardi in un mondo troppo vecchio. Ignora cosa sia tardi, non sa cosa sia invecchiare e invecchiamento. È solo giovinezza». Giulio Sapelli, ordinario di Storia Economica all’Università degli Studi di Milano, commenta aggiungendo che «di geni ce ne sono tanti ancora oggi. Io posso fare il nome di mio padre che era un gran lavoratore ed era un genio nel suo campo. Ma non si è geni per grazia e basta. Occorre sudare e lavorare. Proprio come Péguy che aveva sudato sui libri per tutta la sua vita». Per Cesana il genio è «colui che mette in evidenza ciò di cui non ci si accorge. Per me è stato Luigi Giussani. Lui mi ha fatto accorgere del Mistero che c’è dentro alla storia, dentro la realtà. E allora l’ho seguito».

Ma Péguy entra anche nel tema del lavoro: «La gamba di una sedia doveva essere ben fatta. Era naturale. Era inteso. Non occorreva che fosse ben fatta per il salario, o per il padrone, o per i clienti del padrone. Doveva essere ben fatta di per sé». E Sapelli spiega che «oggi questo modo di lavorare si è perso quasi del tutto. Bisognerebbe leggere il brano a tutti gli operai, anzi a tutti i lavoratori. Il lavoro non è un dovere, ma qualcosa da santificare».
Ma è grazie all’esperienza cristiana che si può guardare la realtà con una profondità come quella di Péguy. «Una delle cose più sorprendenti è come lui contrappone il cristianesimo alla morale, intesa come moralismo», osserva Cesana. «Il moralismo è fatto di regole. Il cristianesimo è una presenza. È un dono che ci riempie di speranza».