A. Damioli,  <em>Venezia-New York</em>, <br>a destra M. Petrus,  <em>Monza</em>

Costruire con il pennello

Villa Reale ospita la mostra "Le città della pittura". Settanta opere di Aldo Damioli e Marco Petrus sul paesaggio urbano. Da un disegno ad alto controllo a forme solide. Quadri in cui «nulla è più sconosciuto di quello che si ha sotto gli occhi»
Marina Mojana

Sono sempre stata del parere che le sculture più belle al mondo siano gli alberi; non c'è nulla che mi incanti più di un faggio secolare, di un tiglio in fiore… Soltanto i marmi di Michelangelo e di Bernini mi emozionano quasi allo stesso modo. Premesso ciò devo confessare di avere avuto una bellissima sorpresa visitando la mostra Le città della pittura, in corso fino al 9 aprile negli spazi del Serrone della Villa Reale di Monza.

Immersa nel Parco, la struttura ospita più di 70 opere di due pittori contemporanei, Aldo Damioli (1952) e Marco Petrus (1964), incentrate sull’architettura dipinta, un tema che in modo autonomo i due artisti perseguono da decenni. Conosco e apprezzo il loro lavoro, ma non lo avevo mai visto appaiato, in un vivace dialogo interno e in un serrato confronto con il verde all’esterno. Sono due noti artisti milanesi (per la verità Petrus è nato a Rimini, ma fin dagli anni Ottanta si mise in luce con il gruppo “Officina milanese”) e con un esercizio quotidiano del fare arte creano paesaggi urbani contemporanei, che però non sono mai una copia del reale, ma una rivisitazione mentale e armonica di luoghi comuni.

Ad esempio, osservare le celebri Venezie-New York di Damioli (se non fosse diventato un artista avrebbe potuto fare il falsario) che tanto ricordano le vedute settecentesche di Canaletto, accostate agli scorci arditi degli edifici di Petrus, scelti tra quelli più famosi di Shanghai, Napoli, Milano, Mosca, Monza, è un’esperienza esaltante; messi vicino i quadri dei due pittori si rafforzano l’un l’altro, in una gara di atmosfere, riconoscimenti, rimandi, invenzioni e pennellate, fino al punto in cui, davanti a un Damioli fatto di bianchi e rossi (Venezia-New York, 2002) credi di essere in presenza di un Petrus. «L’apparenza, si sa, inganna» ha scritto Elena Pontiggia, curatrice della mostra, in catalogo (Silvana Editoriale).
In realtà le ricerche pittoriche dei due artisti, pure apparentemente convergenti e amici tra di loro, sono molto diverse. Damioli fa una pittura ad alta definizione, costruita con estremo controllo, anche dell’io: «La sua è un’arte dove l’emozione nasce dalla mente, non dal sentimento», spiega la Pontiggia. Petrus, invece, è un pittore dalle forme solide, persistenti, affidate a un disegno preciso, ben sigillato in contorni chiusi, capaci di accogliere inedite angolature. «Ci sono pittori che dipingono e pittori che costruiscono - precisa la curatrice - artistes peintres, come dicono i francesi e peintres-architectes. Petrus appartiene a questa seconda categoria». Terminata la visita mi sarei portata a casa molto volentieri la piccola Parigi (2010) con arcobaleno di Aldo Damioli, per quella punta di verde acido del lampione che risalta sul cielo grigio e la Mosca (2008) di Marco Petrus, per il taglio costruttivista del palazzo di vetro e cemento.

La mostra merita una visita perché insinua il sospetto che non ci sia niente di più sconosciuto di quello che abbiamo sotto gli occhi e soprattutto perché ci educa a osservare la realtà, liberando il nostro sguardo non tanto di fronte all’invisibile, ma di fronte a ciò che si vede.

Aldo Damioli e Marco Petrus
Le città della pittura
Serrone della Villa Reale a Monza
Fino al 9 aprile