Una scena del film.

«Ti va di prendere il largo?»

Philippe: ricco, tetraplegico e un po' depresso. Assume come badante Driss, un giovane africano menefreghista. Ne nascerà un'amicizia inaspettata. Tratto da una storia vera, una pellicola divertente che sovverte molti luoghi comuni
Maurizio Caverzan

L’incontro tra due opposti. L’arricchimento, forse anche la rinascita che deriva dall'altro da sé. Due esseri, due persone che più lontane non possono apparire, che si completano, si integrano, si giovano reciprocamente alla grande. Uno è ricco, colto e rassegnato perché tetraplegico. L’altro è rozzo, ignorante, muscolare e vitalissimo. Uno è un bianco dell’Europa progredita e stanca. L’altro è nero dell'Africa selvaggia. Quasi amici è il film rivelazione della stagione, forse dell’anno, campione d’incassi in Francia e successo anche da noi, grazie soprattutto ad un passaparola determinante al botteghino. Una parte della critica l’ha targata come una pellicola “furbetta” perché indulge ai buoni sentimenti. In realtà l’opera di Olivier Nakache ed Eric Toledano (consumato binomio della cinematografia d’Oltralpe) è ispirata alla vera storia di Philippe Pozzo di Borgo, il nobile patron dello champagne Pommery che, in seguito ad un incidente in parapendio rimase paralizzato dal collo in giù e, dopo la morte della moglie Béatrice, trovò in Abdel, magrebino della banlieue parigina, il suo nuovo assistente. La storia è narrata con esattezza di dettagli in Il diavolo custode (Ponte alle Grazie). Qui è adattata alla narrazione cinematografica che procede in senso circolare, con un prologo spiazzante che si compie alla fine.

Adrenalina pura, nella prima scena vediamo Abdel, nel film si chiama Driss ed è interpretato da Omar Sy, al volante di un bolide lanciato nella notte a tutta velocità a dispetto di ogni norma stradale. L’inseguimento della polizia a sirene spiegate è inevitabile. Anzi, è lo scopo del gioco eversivo della coppia, come si evince quando Philippe (François Cluzet) simula una crisi epilettica che convince i poliziotti pronti alla sanzione, a scortarli al vicino ospedale, dove i due vengono lasciati mentre si precipitano gli infermieri. Ovviamente la crisi rientra e risparmiamo la battuta di Philippe al suo autista per non privare lo spettatore del divertimento.

Irriverente, scorretto, sovvertitore dei luoghi comuni più radicati quando ci si confronta con l'handicap, Quasi amici sfreccia sul filo della provocazione e della risata liberatoria e sanamente sfacciata. Il casting per la scelta del badante, per esempio, è un capolavoro di pragmatismo e insolenza. Di fronte alle buone intenzioni umanitarie dei numerosi candidati, lo spregiudicato Philippe sceglie il nero uscito di galera che si presenta solo per ottenere la firma utile per il sussidio di disoccupazione. «Fai attenzione», lo mette in guardia un amico, «questa è gente che non ha nessuna pieta». E l’assenza di pietà è esattamente il motivo per cui l’aristocratico, paralizzato e depresso scrittura come suo compare quel nero menefreghista e vitale. Pian piano la sua esistenza riprende quota in una escalation di regole infrante, smaglianti goliardate, conformismi e moralismi spediti bellamente al macero. Come nella scena della serata all’Opéra o in quella dell’azzimata festa di compleanno. Ma anche l’ex malavitoso ha un punto debole che rischia di pregiudicare quel sodalizio sempre in bilico sul precipizio...

Un piccolo gioiello, senza troppe fumisterie ideologiche: anche la vita di un menomato dalla testa in giù può essere piena e addirittura “spericolata” (Cfr Imperdibile lettera di Beatrice Vio al Corriere della Sera, la ragazzina priva di gambe e braccia sarà tedofora alle prossime Paralimpiadi).
Nel ritorno alla vita di Philippe grazie all'incontro con Driss c'è anche la metafora di un'Europa perbenista, ma ingessata che si rianima grazie all'impatto con un'Africa scorretta, ma pulsante.

Quasi amici

Un film di Olivier Nakache e Eric Toledano
con François Cluzet e Omar Sy