La copertina del cd.

Un blues-soul che suona come una preghiera

La cantante statunitense torna, dopo sette anni, con un nuovo album. La sua voce «incredibile» e la sua slide guitar si amalgamano «senza mai stancare». Nei brani si passa dal funky, al reggae, allo swing: una tavolozza di stili da non perdere
Walter Muto

Un’icona del blues-rock, la rossa Bonnie Raitt, produce con la sua neonata etichetta il suo diciannovesimo album (il sedicesimo in studio). E all’età di 63 anni si getta in quest’opera con l’entusiasmo di una ragazza, anche se la vita negli ultimi anni l’ha provata non poco. Infatti, nei sette anni che la separano dal precedente album ha perso i due genitori, suo fratello e uno degli amici più stretti. Ma non pensiate ad un esercizio di autocommiserazione. La materia prima è quella che la contraddistingue dall’inizio della sua carriera: sano, robusto blues-soul suonato e cantato a regola d’arte. Sul cd l’accompagnano due diverse formazioni: nella maggior parte delle canzoni gli elementi della sua live-band; quattro brani sono invece prodotti da Joe Henry, che si è portato altri quattro musicisti e la presenza di rilievo del chitarrista Bill Frisell, in qualità di ospite. Amalgama il tutto la slide guitar di Bonnie, onnipresente senza mai stancare, e l’instancabile voce, incredibilmente viva e presente, nella quale si sentono tutte le sfumature che intere generazioni di vocalists hanno imparato da lei e puntualmente applicato nel proprio stile vocale.

La tavolozza degli stili attraversati nelle varie tracce è davvero variegata. Senza voler segnare tutti i passi, si parte con un funky serrato in apertura (Used to Rule the World), per proseguire con il trascinante reggae del secondo brano, Right down the Line, cover di un brano di Gerry Rafferty già presentata al “David Letterman Show” con grande resa live; il suono cambia notevolmente nelle tracce 3 e 4 (due di quelle prodotte da Joe Henry) e si fa più scuro, il contrabbasso si sostituisce al basso elettrico, l’incedere swing diventa più trascinato nella Dylaniana Million Miles e si apre ad una ballata di rara bellezza con You Can’t Fail Me Now. Si alternano poi canzoni tutte solide e convincenti, via via arrangiate toccando i vari stili che generalmente vengono riassunti nel vocabolo Americana.

Una parola in più va spesa per la dolcissima ballad Not cause I Wanted to, che sfocia nel bouncing blues di Ain’t gonna let you go, in cui la voce e la slide di Bonnie graffiano in maniera davvero convincente.

E pur essendo tutti da ascoltare, finiamo con gli ultimi due brani (gli altri due prodotti da Joe Henry): il primo è la seconda cover di Bob Dylan, Standing in the Doorway, mentre chiude il disco God Only Knows. Questo brano conclusivo, affidato solo a voce e pianoforte, è pregno di sofferenza e dolore, senza piangersi addosso. Suona come una profonda preghiera: «Dio solo sa che noi possiamo fare ne più e ne meno quello che Lui ci concede. Dio sa che anche se non sappiamo come, ma io cercherò di essere la tua luce d’amore, e pregherò che per ora sia abbastanza». Bonnie è tornata, ed è tornata davvero bene.

Bonnie Raitt
Slipstream
Redwing Records - 2012