Un concerto a San Vitale.

Con la grande musica, per aprirsi al mondo

L'amore per una città. La presenza di Riccardo Muti. La passione per la tradizione cristiana. Angelo Nicastro, direttore artistico, spiega come nasce una delle più importanti manifestazioni culturali italiane. E perché quella volta a Sarajevo...
Andrea Milanesi

Il Ravenna Festival si è ritagliato un posto d’onore all’interno dei grandi appuntamenti musicali internazionali concerto dopo concerto. Forte del legame stretto con Riccardo Muti, la manifestazione ha così visto il moltiplicarsi delle iniziative, aprendo il cartellone anche a discipline artistiche come il teatro e la danza. Per la sua XXIII edizione ha scelto un tema, “Nobilissima visione”, di grande attualità e profondità, che riflette la ricchezza della storia culturale e spirituale della città ravennate e che risponde perfettamente all’impronta che ha caratterizzato il Festival sin dalla sua nascita. A raccontarlo è Angelo Nicastro, direttore artistico della manifestazione con Cristina Mazzavillani Muti e Franco Masotti.

Come nasce un evento come il Ravenna Festival?
All’origine c’è un atto d’amore nei confronti di Ravenna da parte di Cristina Mazzavillani, moglie del maestro Riccardo Muti. Chiamata nel 1990 dalla città stessa ad occuparsene, ne è sicuramente l’anima e a lei principalmente si deve la sua rapida crescita, la sua fama oltre i confini nazionali. All’origine c’è il desiderio di riportare in auge una città che fu capitale di impero, la volontà di attingere a quell’antica ricchezza per ridare significato anche al presente della città, per riscoprire oggi il significato di un’identità che ha le sue radici profonde nella tradizione di un Cristianesimo aperto, con lo sguardo rivolto ad Oriente, a Bisanzio. In un tempo come quello presente in cui la chiusura e le differenze sono all’origine di contrasti e conflitti in ogni parte del mondo, l’apertura e il dialogo sono valori assoluti da coltivare. Con il nostro Festival cerchiamo di farlo attraverso la cultura, l’arte e soprattutto la musica.

In che modo?
In questa prospettiva i “Viaggi dell’Amicizia” sono sicuramente un’iniziativa di grande risonanza, unica nel panorama musicale internazionale. Sono concerti che il maestro Muti ha tenuto in città simboliche, segnate da eventi drammatici. Non sono nati da progetti a tavolino, ma da veri e propri incontri. Il primo “Viaggio” risale al 1997 ed è nato in seguito a una lettera scritta dall’Orchestra Filarmonica di Sarajevo: un grido di aiuto lanciato dall’altra parte dell’Adriatico con la speranza di ricominciare a vivere dopo il terribile conflitto civile che aveva insanguinato la città. Quella prima tournée si svolse in condizioni drammatiche; c’erano ancora le macerie fumanti, i segni della guerra erano dappertutto e sulla via del ritorno il maestro Muti e i musicisti al seguito, furono addirittura fermati dall’esercito perché, avviandosi verso l’aereo militare che li avrebbe riportati in Italia, stavano entrando in un campo minato... Ma quel concerto è stato memorabile e il suo valore è andato ben oltre il significato puramente artistico. La musica rappresenta lo strumento privilegiato di incontro e dialogo tra popoli di culture diverse. Lo abbiamo sperimentato in tutti i successivi concerti a Beirut, Gerusalemme, Mosca, Il Cairo, in Siria, a New York dopo l’attentato alle Torri Gemelle, fino a Nairobi lo scorso anno.

Intorno a quale tema si sviluppa la programmazione di quest’anno?
Al centro si trova il riverbero del grande fermento spirituale che si è irradiato da Ravenna intorno all’anno Mille, grazie a figure come San Romualdo (al quale si deve la fondazione del monastero di Camaldoli avvenuta proprio mille anni or sono) San Pier Damiani o Gerberto di Aurillac (arcivescovo di Ravenna poi divenuto papa col nome di Silvestro II), che hanno determinato influssi decisivi per la vita religiosa italiana ed europea. Il monachesimo è una delle principali linee tematiche e il titolo che abbiamo scelto, “Nobilissima Visione”, deriva dal lavoro di Paul Hindemith (ispirato agli affreschi di Giotto sulla vita di San Francesco in Santa Croce a Firenze) che il maestro Muti dirigerà il 6 e 7 luglio insieme con un’altra celebre e controversa opera del compositore tedesco, la "Sancta Susanna". Il calendario è come sempre ricchissimo [programma completo sul sito web www.ravennafestival.org, ndr.] e tra il 9 giugno e il 15 luglio si articolerà tra incontri, concerti sinfonici, musica etnica, spettacoli di danza, e l’ormai tradizionale ciclo delle “Liturgie domenicali”; appuntamento centrale il 12 luglio con le musiche di Haydn, Mozart e Brahms scelte dal maestro Muti per il grande “Concerto delle fraternità” che vedrà confluire a Ravenna monaci ortodossi, cattolici e buddisti ospiti a Ravenna per l’intensa settimana di avvenimenti che abbiamo chiamato "Sette giorni in Tibet".

Cosa vi permette di tenere sempre così alto il livello della vostra proposta?
Ogni anno, quando ubriachi di stanchezza ma anche di tanta bellezza arriviamo alla conclusione di un festival, ci diciamo – e soprattutto ci sentiamo dire – che è stato il festival più bello di tutti e che meglio di così non si potrà fare; ma poi, puntualmente, l’anno successivo ci rimettiamo in gioco e ci spingiamo sempre oltre essendo noi stessi i primi a stupirci. Non so se ci sia, per così dire, un segreto. Quello che è certo è che siamo sempre curiosi, aperti ai segni che la realtà ci offre e molto uniti nel viverli e nell’interpretarli.