Gerusalemme © Giovanni Zennaro / Marietti 1820.

Il mitra, la doccia calda e quel bambino palestinese

Una gita a Hebron appena arrivato in Terra Santa, una realtà tutta nuova vista prima solo in televisione. Partono da qui i racconti delle vite dei cristiani di Gerusalemme e Gaza. E ora escono in un libro, frutto di un'amicizia
Andrea Avveduto

Pubblichiamo il racconto introduttivo di Aggrappati alle radici, il libro che mostra la vita quotidiana dei cristiani di Terra Santa. È il frutto dell'amicizia tra Giovanni Zennaro, fotografo, e Andrea Avveduto, giornalista, che si sono conosciuti in Palestina, lavorando con la Custodia di Terra Santa. Lì hanno scoperto e deciso di raccontare le storie dei discendenti dei primi discepoli. Giovanni ha messo i suoi scatti, Andrea ha scritto le storie, incoraggiati da padre Pierbattista Pizzaballa, custode di Terra Santa, cui è affidata la prefazione.


Una soleggiata domenica di novembre: ero arrivato da tre giorni a Gerusalemme e ancora non avevo capito molto. Ero spaesato: una situazione comune ai tanti che sono passati da questa terra ricca di storia, di bellezza e di sofferenza. Quella domenica mi portarono in gita a Hebron, una città che si trova a circa 30 km di Gerusalemme, famosa per le sue fabbriche di ceramiche e per i vetri. Nella Città Vecchia, a metà tra una sinagoga e una moschea, sono conservate le tombe di Abramo e di Sara, nel luogo dove tradizionalmente si vuole sia avvenuta la loro sepoltura. Oggi i patriarchi si dividono letteralmente a metà, tra i fedeli di religione ebraica e quelli di fede musulmana. Divisi, proprio come la città. Una zona gestita dai palestinesi, un’altra parte controllata dagli israeliani. Hebron viene spesso ricordata per il massacro di 67 ebrei ad opera di un folle integralista musulmano. Anche oggi si respira un clima di tensione come in poche altre città della Cisgiordania. E raccomandano di visitarla in gruppi. Noi eravamo accompagnati da alcuni carabinieri del TIPH (Presenza Internazionale Temporanea a Hebron). In mezza giornata abbiamo visitato gran parte della Città Vecchia e le tombe dei patriarchi.

Quella visita avrebbe segnato tutta la mia permanenza in Terra Santa.
Ero sconvolto: vedevo i soldati sui tetti delle case con il mitra in mano (era forse la prima volta che ne vedevo uno), gli insediamenti dei coloni, la povertà del mercato, l’insistenza dei bambini che chiedevano pochi euro. Immagini già viste in tv, che mi sembravano stranamente nuove.

Tornando a casa, il nostro pulmino ha investito un bambino. Andavamo praticamente a passo d’uomo, ma il piccolo palestinese è uscito di casa correndo e non c’è stato modo di evitare lo scontro. Fortunatamente non è andato sotto le ruote. Appena scesi, abbiamo visto che il bambino stava bene, tutto sommato. Aveva solo un grande livido in testa ed era parecchio spaventato. Probabilmente avrebbe presto dimenticato quella brutta botta (è normale - ci hanno detto - che in quella zona i bambini vengano investiti). Io però non scorderò mai ciò che è avvenuto dopo: è arrivata la madre che l’ha subito preso in braccio, ma non aveva ghiaccio da mettere sulla testa del piccolo perché in casa non hanno acqua. Abbiamo chiamato l’ambulanza, che però non trovava la strada ed è giunta sul posto solo un’ora dopo, mentre la polizia israeliana si è rifiutata di uscire. Nessuno sapeva cosa fare. Poco dopo è arrivato il capo famiglia: ha chiesto alle ragazze che erano con noi di andare via (già un piccolo gruppetto di ragazzi le aveva avvicinate e coperte di insulti perché non avevano il velo) e ci ha congedati chiedendoci solo pochi euro. Siamo tornati a casa. Per qualche tempo, quando mi facevo la doccia calda, non riuscivo a smettere di pensare a quel bambino. E a quella madre che non aveva neanche l’acqua fredda da mettergli in fronte per alleviare il dolore. Acqua che ogni giorno gli viene tolta.

Quel giorno mi è venuta un’idea. L’idea di raccontare le difficoltà e le speranze di questa terra, di mettere nero su bianco le storie di quelle persone che come quel bambino vivono in condizioni difficili, eppure rimangono qui. L’idea ha cominciato a farsi strada con i racconti degli amici e dei frati. Fatti che hanno visto, sentito o vissuto e che mi hanno raccontato. Da semplice idea è diventato qualcosa di più. Lavorare per la Custodia di Terra Santa è stata una grande opportunità, e poco a poco è nato in me il desiderio di concentrarmi sulle storie dei cristiani locali. Gli eredi degli apostoli vivono in questa terra da stranieri. Sono per lo più di etnia araba, e vengono odiati da tutti. Sono disprezzati dagli israeliani, che li trattano come arabi (musulmani, secondo la mentalità corrente). E non sono amici neppure degli arabi musulmani, proprio per diversità di religione. La maggior parte di loro tenta fortuna in altri paesi. E non è difficile incontrare più betlemiti cristiani a Santiago del Cile che nella stessa Betlemme, purtroppo. Ho deciso allora di raccontarne le difficoltà, ma anche di mostrare la speranza.

Il fortunato incontro con Giovanni Zennaro, amico fotografo, ha reso possibile la quadratura del cerchio. Le sue fotografie completeranno un quadro difficile da delegare al solo testo. E viceversa. Non tutti i nomi che troverete corrispondono alla realtà. Per alcuni non è ancora giunto il tempo di affidarli alla carta stampata. E forse non verrà mai, quel tempo. A loro però voglio dedicare questo libro, perché la loro testimonianza rimanga. E come il seme che muore, porti frutto.


Andrea Avveduto, Giovanni Zennaro
Aggrappati alle radici. Storie e volti dei cristiani in Terra Santa
Marietti 1820
€ 15,00
Website: www.aggrappatialleradici.com