La copertina del cd.

Schubert, il grido dell'eterno viandante

Il "Canto del cigno" è una raccolta postuma delle "lieder", liriche per canto e pianoforte. Interpretate nel cd dal baritono Goerne e dal pianista Eschenbach. Un pentagramma in cui «amore e dolore si sono divisi la mia anima»
Andrea Milanesi

«Quando volevo cantare l’amore esso si trasformava per me in dolore, e se allora volevo cantare solo il dolore, esso diveniva amore. Così amore e dolore si sono divisi la mia anima…», parole decisamente amare quelle pronunciate da Franz Schubert (1797-1828), ma quella che a prima vista sarebbe potuta apparire una maledizione si è invece tramutata nell’intima cifra della sua impronta artistica.

Alla luce dell’inestricabile intreccio tra questi due sentimenti – apparentemente contrastanti, in realtà complementari – si può, infatti, ripercorrere l’intera traiettoria creativa del compositore viennese, come testimoniano alcuni capolavori assoluti marchiati a fuoco da una tensione spirituale divorante: dalle sinfonie ai quartetti, dalle opere per pianoforte solo alle composizioni liturgiche, per arrivare ai gioielli più splendenti della sua sterminata produzione di lieder (ne scrisse oltre 600), liriche per canto e pianoforte come quelle racchiuse nei grandi cicli Die schöne Müllerin D 795 (La bella mugnaia), Winterreise D 957 (Viaggio d’inverno) e Schwanengesang D 911 (Canto del cigno).

In realtà per quest'ultimo non si può parlare propriamente di “ciclo”, dal momento che la raccolta è stata assemblata postuma dall’editore Haslinger sull’onda dell’emozione suscitata dalla morte del compositore. Rimane il fatto che questo estremo compendio è sublimato da splendide melodie che scaturiscono dall’incontro con una poesia altissima e ispirata, in un indissolubile legame tra parola e musica che impone un duplice e continuo sforzo di integrazione e immedesimazione.

Da questo assunto ideale prende le mosse l'eccellente e paradigmatica lettura offerta dal baritono Matthias Goerne e dal pianista Christoph Eschenbach, fini indagatori dei principi che stano alla base dell'estetica e della spiritualità schubertiana. Il primo ha, infatti, perfettamente compreso come ogni brano esiga lo stesso sforzo d'identificazione totale che viene richiesto al protagonista di un'opera teatrale, avendo però a disposizione un tempo infinitamente più piccolo per portare in scena il medesimo complesso universo di sentimenti. Al secondo va invece il merito di aver recepito come il suo strumento sia un vero e proprio alter ego della voce, febbrile e reattivo co-protagonista in una dimensione autenticamente paritaria sul piano dell'intesa e della qualità artistica dell'esecuzione.

Un’affinità d'intenti testimoniata in modo ineccepibile da interpretazioni “all'unisono” in cui emergono il sospiro malinconico di Ständchen (Serenata), il drammatico sigillo di Abschied (Commiato) o la struggente nostalgia di In der Ferne (In lontananza), ma anche la forza visionaria e trasognata di Ihr Bild (La sua immagine), Die Stadt (La città), Am Meer (Al mare) e del quasi impressionistico Der Doppelgänger (Il sosia); riflessi fedeli dei dissidi interiori e delle domande esistenziali che Schubert ha affidato ai fogli di pentagramma del suo "canto del cigno", pagine di un diario dell'anima in cui risuona il grido lacerante e insieme muto dell’"eterno viandante".

Schubert, Schwanengesang D 911
Matthias Goerne, Christoph Eschenbach
Harmonia Mundi / Ducale (2012)