«Un uomo che riusciva sempre a stupirci»
L'auditorium di Palazzo Lombardia è stato dedicato allo scrittore novatese in occasione del ventesimo anniversario della sua morte. All'inaugurazione erano presenti Roberto Formigoni, Luca Doninelli, Giuseppe Frangi e Franco BranciaroliAvrebbe dovuto leggere alcune pagine di Confiteor. Aveva detto che l’avrebbe fatto. Poi, tornando su quelle parole, provando di nuovo a pronunciarle, ha capito che non era possibile. Sarebbe stato più un torto che un omaggio alla sua figura. Franco Branciaroli sa che il suo sodalizio con Giovanni Testori è arso di una energia che si sprigionava tutta nel presente. Sulla scena. Il teatro che i due hanno fatto esigeva che entrambi si giocassero con i loro corpi e le loro voci. «Quel che potrei fare oggi sarebbe qualcosa di museale, non vivo», ha detto l’attore: «Abbiamo provato in passato a farlo, ma non ha funzionato. Oggi Testori lo deve fare qualcun altro in altri modi».
L’intitolazione a Giovanni Testori dell’auditorium di Palazzo Lombardia, la nuova sede della Regione, è stata la prima delle manifestazioni in occasione del ventesimo anniversario della scomparsa del grande uomo di cultura di Novate Milanese avvenuta il 16 marzo del 1993. Occasione, anche, per presentare la ripubblicazione dell’ormai introvabile Conversazioni con Testori, il libro-intervista di Luca Doninelli uscito la prima volta proprio nel 1993.
A fare gli onori di casa il presidente Roberto Formigoni, che si è detto «orgoglioso di dedicare a questo grande lombardo l’auditorium di questo palazzo. La giunta ha accolto la proposta all’unanimità. È un gesto volto a tener viva la sua memoria così importante per la cultura della nostra regione e del nostro Paese». Testori, ha continuato, «era un personaggio scomodo, che poneva domande difficili, in grado di non lasciarci tranquilli. Ha comunicato la sua esperienza di vita con grandissima sincerità, chiedendo ferocemente a se stesso di essere vero».
Giuseppe Frangi, presidente dell’Associazione Giovanni Testori, ha fatto notare come in questi anni la figura dell’intellettuale sia stata al centro di un crescente interesse da parte del mondo della cultura e del teatro in particolare. Sempre di più sono le tesi di laurea a lui dedicate. Sempre più attori desiderano mettere in scena i suoi drammi (sembra che Mariangela Melato avesse in progetto di portare in scena L’Arialda, dopo averla interpretata in radio con Sandro Lombardi). Come si motiva tutto questo interesse? «Nel suo studio di Brera il campanello e il telefono suonavano di continuo», ha raccontato Frangi: «Era tutto un via vai di gente. La costante era che ciascuno andava via con un compito. L’amicizia con lui proseguiva se si dava seguito agli input che lui generosamente distribuiva. Testori era un “mobilitatore”. Aveva un’energia che lasciava liberi. L’interesse su di lui, probabilmente, è il risultato di tutto questo lavoro. Lui, insieme a Pasolini, è stato l’unico intellettuale del Dopoguerra a non essere centripeto, piegato su se stesso».
E cosa avrebbe detto di quel grattacielo il cui auditorium è oggi a lui dedicato? Per Luca Doninelli è una domanda alla quale è praticamente impossibile rispondere. «Neanche noi che l’abbiamo conosciuto eravamo in grado di prevedere che cosa avrebbe detto di questo o quel argomento. Riusciva sempre a stupirci. Era talmente controcorrente che era anche controcorrente rispetto all’idea che avevamo di lui. Sui grattacieli a Milano? Abbiamo ritrovato un testo del 1978 in cui ne parla. Avrei detto che si sarebbe opposto. Invece li descrive come una opportunità per la città. Eppure era segnato da una quasi demenziale avversione per il potere. Era il suo modo per scompaginare la nostra pigrizia. Era uno spirito anarchico, sì. Ma giocava le sue idee nel dibattito pubblico per far emergere la verità».
La parola è poi passata a Franco Branciaroli. Che, spiegando la sua decisione di non leggere, è stato costretto a ridire qual era la natura del teatro che lui ha fatto con Testori. «Rileggere in questo contesto le sue pagine, sarebbe stato come farne un calco. Sarebbe stato come l’esplosione di una bomba atomica alla quale è rimasto il rombo ma non più il calore». L’attore ha poi parlato dell’imbarazzo che procuravano nel pubblico e nel mondo della cultura italiana quegli spettacoli: «Il problema è che Testori a teatro, in fondo, parlava di Dio. E non c’è nulla di più imbarazzante per la nostra cultura che parlare di Dio in quel modo. Il problema di In Exitu non era la crudezza del racconto o delle parole. Era che della bontà scorreva sul palcoscenico. Questo anche per i cattolici resta imbarazzante. E poi, se guardiamo bene, i personaggi degli spettacoli che ho fatto io sono tutti morti che raccontano in prima persona la loro morte. La loro messa in scena era come la resurrezione della carne».