Guareschi e «quell'urgenza di bene comune»
Cosa insegnano i racconti di "Mondo Piccolo" oggi? Ne hanno discusso il presidente della Fondazione per la Sussidiarietà, Giorgio Vittadini, e il senatore del Pd Ugo Sposetti. Un dialogo tra amici, con una speranza dalle radici profondeLa Bassa emiliana si è trasferita a Roma nella serata del 27 ottobre. Giovannino Guareschi è stato protagonista del caffè letterario organizzato dal Centro Culturale di Roma, nel dibattito tra due dei suoi personaggi più famosi, ciascuno dei quali portatore di un pezzo del mondo dell’autore parmigiano. Come ha esordito il moderatore Paolo Gulisano, Guareschi è «un autore che non si legge, ma si incontra», e per questo Giorgio Vittadini, presidente della Fondazione per la Sussidiarietà, e Ugo Sposetti, senatore del Partito Democratico, hanno accettato di vestire i panni di un don Camillo e un Peppone dei giorni nostri, nel desiderio di incontrare l’incredibile attualità dello scrittore.
«Da un pezzo, forse da sempre» è la citazione di Guareschi che ha dato il titolo alla serata, perché l’autore dice che da un pezzo, forse da sempre, aveva in mente due personaggi come il parroco irruento e il sindaco focoso. Da un pezzo, forse da sempre, perché don Camillo e Peppone se da un lato raccontano di una certa Italia in un determinato periodo storico dall’altro parlano dell’uomo di ogni fazione e di ogni tempo, anche di quello di oggi.
Ed è proprio per questo che don Camillo e Peppone al fondo della lotta quotidiana si trovano d’accordo sulle cose essenziali. E allo stesso modo Giorgio Vittadini e Ugo Sposetti possono dialogare ed essere amici, nonostante le differenze, come ha ricordato il senatore durante il suo intervento. Perché alla base sia dell’una che dell’altra parte c’è «il rispetto dell’uomo».
Ma cosa sta al fondo di questo comune sentire? «È il Cristo», ha risposto Vittadini. «Il Cristo che è il vero protagonista delle storie di Guareschi». Perché è la voce della coscienza, questa voce che nel mondo moderno è stata ridotta a soggettivismo, ma che Guareschi intuiva essere la capacità di riconoscere la verità, proprio nello stesso periodo storico in cui quella convinzione veniva portata avanti da un giovane sacerdote brianzolo, don Luigi Giussani. Una capacità propria di ogni uomo e insita in ciascuno, ma non per questo senza un fondamento oggettivo e universale. Così don Camillo e Peppone, al di là di ogni possibile scontro ideologico, sentono l’urgenza del bene comune. Ma la stessa urgenza veniva avvertita anche da quello che è il vero secondo grande protagonista delle storie di Guareschi: il popolo, di cui sindaco e parroco non sono altro che rappresentanti, in tutto appartenenti ad esso. Quel popolo che il potere oggi ha fatto fuori riducendo il mondo cattolico a una costruzione moralistica di norme e regole e quello comunista a un pensiero radical chic.
Ma cosa fare di fronte a questo? «Signore, cos’è questo vento di pazzia?», chiede affranto Don Camillo al Cristo: «Non è forse che il cerchio sta per chiudersi e il mondo corre verso la sua autodistruzione? Cosa possiamo fare noi?». Bisogna fare ciò che fa il contadino quando c’è l’inondazione, risponde il Cristo: «Salvare il seme». Così quando l’acqua si sarà ritirata e la terra sarà stata nuovamente resa fertile egli potrà ancora seminare.Quel seme è «la speranza che viene dalla vostra presenza qui oggi» ha detto Sposetti guardando i molti ragazzi presenti in sala: «La speranza che viene da tanti giovani che mi chiedono di incontrarli perché desiderano un cambiamento. Questo è da salvare».
Ma non basta. «È da salvare e da riconquistare un ideale concreto che abbia un luogo dove possa realizzarsi», ha aggiunto poi Vittadini. Un ideale molto diverso da un pensiero astratto, che spesso oggi rimane l’unica cosa che sbandieriamo. Perché un ideale ha senso se tu lo «puoi toccare adesso». La fede può essere un seme da salvare se è qualcosa che gusti ora, non se rimanda soltanto a una ricompensa di domani. E allo stesso modo può essere un seme l’idea di un comunismo che vuole fare qualcosa di bene oggi, e non demanda in eterno alla rivoluzione di dopodomani.
È questo un altro elemento proprio di Guareschi che ha portato, e porta tuttora, scandalo: un’incredibile libertà nel riconoscere il buono dovunque esso fosse. Per questo una certa corrente democristiana storceva il naso di fronte ai racconti di Mondo Piccolo, perché faceva vedere che i comunisti «non mangiavano nessuno», come ha ricordato Sposetti. Al contrario, Guareschi è stato uno scrittore che ha dato «la capacità di leggere la realtà» e ha mostrato come ogni uomo, dal curato di campagna al comunista più ortodosso, dalla vedova con nove figli all’assassino amnistiato da Togliatti ma non dalla propria coscienza, sia in grado di riconoscere la verità.