Peter O'Tool in una scena di <em>Cristiada</em>.

La vittoria di Joselito

Arriva in Italia (e sta facendo discutere) il film sui cristiani perseguitati in Messico negli anni Venti. Polemiche a parte, vale la pena vederlo? Storia del generale ateo che guidò i "cristeros", imparando da un ragazzino ad «appartenere a qualcuno»
Silvia Guidi

Proviamo a parlare di Cristiada, il film di Dean Wright, per una volta non entrando dall’ingresso principale delle polemiche (che non sono mancate, dal 2012, l’anno in cui è stato girato, all’autunno del 2014, in cui è arrivato il doppiaggio in italiano e la distribuzione nelle sale anche per il nostro Paese, grazie all’impegno della Dominus Production di Federica Picchi), ma attraverso l’entrata di servizio del cast e dei titoli di coda. Saltando a piè pari le selve di commenti che affollano il web - tutto e il contrario di tutto, dai tanti «bellissimo, attori da Oscar, commovente» agli altrettanto numerosi «propaganda cattolica annegata nella melassa» - cerchiamo di parlare del quadro e non della cornice.

Nel film, Andy Garcia interpreta il protagonista, il generale Enrique Gorostieta Velarde; Eva Longoria è sua moglie Tula; Eduardo Verástegui (il Mister Méndez del cortometraggio The Butterfly Circus) Anacleto González Flores; l’anziano padre Christopher ha lo sguardo azzurro - pieno di luce anche nel dolore - di Peter O’Toole. Ma una parte non meno importante è stata affidata dalla produzione alla colonna sonora, di una bellezza vertiginosa e lirica nei primi fotogrammi, poi sempre più adeguata al registro epico grazie all’uso sapiente delle percussioni. Una musica da brivido, che non sorprende più di tanto, però, se ci si ricorda chi è il suo autore: James Roy Horner, il compositore che ha dipinto gli affreschi sonori di Braveheart, Titanic, Avatar.

Diamo uno sguardo (rapido, per non togliere il gusto dell’attesa a chi vedrà il film) alla trama. Siamo in Messico, negli anni Venti del secolo scorso; alla guida del Paese c’è Plutarco Elías Calles che appena eletto (vota il 2% della popolazione) mette in pratica il suo progetto politico totalitario: sradicare la religione cattolica dal popolo, estirparla facendo applicare le durissime leggi penali che porteranno il suo nome.

Un attacco alla libertà religiosa condotto con la violenza più brutale: chiese incendiate, sacerdoti uccisi o deportati, chiusura di tremila scuole cattoliche e confisca di tutto il patrimonio del clero. Come gesto di protesta ma anche per evitare ulteriori attacchi, in accordo con Roma, i Vescovi decidono di sospendere ogni servizio religioso. Di colpo la Chiesa diventa clandestina e i cattolici si ritrovano privati dei sacramenti. Per rispondere alla persecuzione, la Lega nazionale per la difesa religiosa organizza una resistenza pacifica: vengono raccolte due milioni di firme per abolire le leggi Calles (il presidente però dichiara quelle firme inesistenti in quanto non provengono da cittadini, poiché «chi si pone contro la legge dello Stato non è degno di essere considerato cittadino») e viene messo in atto un capillare boicottaggio economico («una specie di Quaresima permanente», la chiama Anacleto González Flores nel film, che costringerà alla chiusura due banche). Quando ogni forma di protesta si rivela inutile, comincia la resistenza armata, che diventerà una vera e propria guerra civile tra l’esercito del Governo e il popolo messicano.

Il film di Wright racconta le fasi iniziali e centrali del conflitto, parteggiando  decisamente per i cristeros, senza nascondere però contraddizioni, tensioni interne ed errori. Gli attacchi dei ribelli sono guidati da Gorostieta, un generale ateo che accetta l’incarico per il compenso a molti zeri che la Lega anti-governativa gli ha offerto, ma anche per il desiderio di rimettersi in gioco e di non restare prigioniero di una vita non sua (la fabbrica di sapone di famiglia, ripiego borghese alla sua vocazione di soldato). «Chi vive solo di ricordi ha già iniziato a morire», dice a un amico (ma in realtà sta parlando a se stesso) durante una partita a scacchi. «Un ateo come te alla guida dei cristeros», ribatte con amara ironia sua moglie Tula, cattolica, consapevole del prezzo altissimo che potrebbe costarle la difesa di quello in cui crede. La parte più bella del film è tutta in questo cammino di consapevolezza: Gorostieta, già padre di due bambine, capisce davvero cosa significa essere un padre nel rapporto con il piccolo Joselito (beatificato da Benedetto XVI nel 2005), il figlio maschio che non ha mai avuto, e perché è così importante appartenere a qualcuno, fino al punto di rischiare tutto, mentre chi è già cristiano come Anacleto, Tula o Adriana, sperimenterà la concretezza bruciante di parole svuotate dall’abitudine, come croce, grazia e salvezza.

Connivenze e ambiguità delle grandi potenze dell’epoca sono delineate con mano sicura e attenzione alla realtà storica: la decisione di Calles era animata da un profondo odio verso i cattolici, tutt’altro che retrogradi, reazionari e oscurantisti, come invece a lungo dipinti, in realtà protagonisti di un laicato vivace, aperto, capace di elaborare ambiziosi programmi sociali, sul modello associativo ed economico scaturito dalla Rerum novarum. Era questa grande influenza sulla vita sociale che infastidiva il potere e che aveva portato a dissidi con la Chiesa negli anni precedenti. Lo stesso presidente Theodore Roosvelt, Nobel per la Pace nel 1906, sosteneva che «l’assorbimento dell’America Latina sarà molto complicato finché resterà cattolica».
Insomma, Cristiada è un gran bel film, che si merita il grande schermo, e una programmazione “normale” nei multisala, come ribadisce con legittima soddisfazione Federica Picchi: «La nostra filosofia è zero spese pubblicitarie, ci facciamo conoscere andando nelle scuole, e grazie al sostegno capillare di associazioni di ogni colore e di ogni schieramento politico, che sanno riconoscere e amare la qualità. La gente è stufa di film orrendi imposti dallo strapotere del marketing. All’inizio i colleghi mi davano della pazza, ma i risultati stanno già arrivando».

I cristeros, narrano le cronache, prima di ogni scontro pregavano la Vergine di Guadalupe per se stessi ma anche per i nemici; guardando le scene più riuscite del film, quelle di quiete prima della tempesta, tornano in mente i versi di una bella poesia di Elena Bono, scritta nel secondo Dopoguerra: «Le spalle al muro, combattiamo questa battaglia / per i morti, i vivi e coloro che nasceranno / Combattiamo per tutti, anche per i nemici. / Se destino è cadere, cadiamo da uomini / noi che dicemmo al mondo che cos’è l’uomo».