"Before This World" di James Taylor.

Il maestro ha ritrovato la strada

Sembrava che avesse perso l'ispirazione. Invece, a giugno, dopo molti anni, è uscito l'ultimo lavoro: Before This World, con ospiti e musicisti d'eccezione. Undici canzoni, tra rime e note tutte da ascoltare
Walter Muto

A 67 anni suonati e dopo un blocco creativo di più di dieci, James Taylor ammette candidamente che gli interessa relativamente poco quanto il suo nuovo lavoro venderà. Anzi, che non sa nemmeno più cosa voglia dire veramente pubblicare un album. Ma allora perché rimettersi al lavoro, andare a cercare nuove storie e trovare il modo di raccontarle in musica, con delicatezza e poesia assolute? Perché il cuore di un uomo è sempre giovane e può sbandare, poi ritrovare la strada, poi cadere ancora, ma non smetterà mai di cercare e di stupirsi di fronte alla meraviglia della vita. Questo è quello che accade in Before This World, uscito a fine giugno e contenente 10 canzoni nuove e un traditional, reso anch’esso in puro stile "Taylor", la finale Wild Mountain Thyme.

La gestazione di questo album non è stata semplice. Dal 2002 Taylor non aveva praticamente più scritto materiale originale. Si era dedicato a due bellissimi lavori, ma entrambi di cover, uno di brani vari e l’altro natalizio, come sempre con la zampata dei grandi, che rendono personale qualsiasi cosa tocchino e manipolino. Eppure sembrava che la Musa che gli aveva ispirato capolavori come Mexico e You Can Close Your Eyes, o Carolina In My Mind lo avesse abbandonato. Ed allora un paio d’anni fa James chiede il permesso a moglie e figli di isolarsi per qualche tempo in una baracca fra i monti e per un altro po’ in una casa di fronte all’oceano, in Rhode Island. E lì pian piano tutto riprende forma, le storie riappaiono, e James può riprendere a ricamare le sue liriche e cesellare i suoi delicati accordi. Così in Angels Of Fenway racconta della nonna che gli passò la passione per il baseball e per i Red Sox di Boston, che dopo tantissimi anni vinsero il titolo nel 2004, oppure della sua lunga dipendenza dall’eroina in Watchin’ Over Me. L’eco di Mexico e altre sue canzoni si percepisce in Snowtime, racconto di una giornata in cui era a Toronto, in dicembre, al freddo, ed ha sentito il cuore scaldarsi per una musica latina che proveniva da una vietta. Insomma cose di tutti i giorni, ma raccontate come sanno fare solo i grandi, che sanno rendere il quotidiano non banale, ma interessante per tutti.

Anche la realizzazione dell’album è stata casalinga, familiare. Taylor ha convocato in una casa di sua proprietà i musicisti che lo stanno ora accompagnando in tour, fra gli altri niente meno che Steve Gadd, Jimmy Johnson e Mike Landau - batteria, basso e chitarra, tre dei migliori musicisti americani - registrando tutte le canzoni con arrangiamenti essenziali ma cesellati ed impreziositi dai soliti bellissimi background vocali. Alcuni ospiti d’eccezione completano l’opera: il grande violoncellista YoYoMa e la voce di Sting rendono indimenticabile la già bellissima suite composta da un brano di Taylor affiancato ad un traditional, Before This World / Jolly Springtime. Questo brano è sicuramente una delle punte di diamante dell’album, anche per le parole che si saldano alla musica in una magica alchimia: «Prima che questo mondo fosse come lo conosciamo / prima che la terra e il mare fossero completamente formati / prima che le stelle fossero create per bruciare e per brillare / mio piccolo amore, mia cara / chi può fingere di capire completamente / chi può credere di sapere esattamente come il mondo continui ad andare?». Il miracolo misterioso della Creazione si fa spazio fra le rime e le note e riempie di commozione chi canta e chi ascolta, invitando a condividere la gioia.

Ma forse il vero capolavoro di questo album - peraltro tutto bellissimo - è Montana, delicata ballata a tempo di valzer country. Quella che all’inizio sembra una semplice elegia, una esaltazione bucolica di luoghi ameni, in realtà diventa la descrizione di uno sguardo riempito ancora una volta dal mistero della Creazione: «Chi può immaginare la forza che ha fatto sì che questa montagna si elevasse nel cielo? Movimenti tettonici, erosioni, mutazioni, uno spettacolo per piacere all’occhio di Dio». Ed insieme a questo l’incapacità di capire, di comprendere tutto ed il bisogno di cose concrete: «Basta per oggi, ciò che ho in mente è il lavoro delle mie mani. Legna per il fuoco e acqua per il caffè, qualcosa che io possa ancora capire». E gli affetti familiari sono indispensabili, tanto che nella già citata Wild Mountain Thyme a cantare con James ci sono moglie e figlio.

Pochi giorni dopo l’uscita di questo album, il papa emerito Benedetto XVI ha ricevuto due lauree honoris causa, e nell’occasione non ha voluto esimersi dal parlare di musica. Nel suo breve, incisivo e bellissimo discorso ha citato i tre elementi che hanno a che fare con la grande musica, e cioè l’amore, il dolore e il divino. Queste canzoni arrivano lì: James Taylor, dopo aver lottato con le dipendenze, le storie d’amore e di dolore e l’incapacità di raccontare, ha ripreso la strada maestra, raccontandoci una manciata di storie che hanno a che fare con noi e a cui vale la pena di dedicare un po’ di tempo, non solo nell’ascolto della bellezza delle melodie e degli arrangiamenti, ma anche provando a fare i conti con le parole, con i racconti che come accade - lo ripeto - solo ai grandi, vanno ad incastrarsi perfettamente ed inscindibilmente con la musica, dandoti l’impressione che non potrebbe essere che così.