<em>Chiamatemi Francesco</em>, <br>di Daniele Lucchetti.

Il perché di questo nome

Il Santo Padre sul grande schermo. Daniele Lucchetti dirige un film «onesto e partecipato», in un progetto commerciale che ha fatto dubitare in molti. Ecco invece la "fine del mondo", la vecchia Argentina, la casa di papa Bergoglio
Maurizio Crippa

Sono passati quasi tre anni e ancora molti sono stupiti di un Papa che, per la prima volta nella storia, si è fatto chiamare Francesco. Ma tutti quanti - non solo i mass media, anche noi - ci siamo abituati, come l'avessimo capito davvero, cosa significhi venire «quasi dalla fine del mondo», o uscire nelle periferie. Però, siccome «la gente magari fa anche finta / però le cose è meglio fargliele sapere», come cantava Jannacci, il film di Daniele Lucchetti sul "giovane Bergoglio" è un bell'aiuto: ha il pregio di farcela vedere, la fine del mondo da cui viene papa Francesco. La sua storia personale, i drammi della sua Argentina, la fedeltà coraggiosa, sine glossa, al Vangelo che è stata il tessuto della sua vita e della sua Chiesa.

Era accaduto una sola altra volta che il cinema si prendesse il rischio di raccontare un Papa regnante, con Da un Paese lontano di Krzysztof Zanussi (1981), su Giovanni Paolo II. Il film di un regista polacco, cattolico, che raccontava insieme la storia di Karol Wojtyla e la storia della lotta per la libertà di un intero Paese. Chiamatemi Francesco è un'operazione molto diversa. Laico il regista (per il pubblico italiano è soprattutto il regista del Portaborse e di La scuola, commedie di impegno-politico sociale), laico il produttore, la Taodue Film con finanziamento di Mediaset: il progetto prevede, infatti, la trasformazione del film in una fiction televisiva, per alcune ore di trasmissione, della quale il film è dunque una sorta di "concentrato" narrativo. Un progetto "commerciale", scommettendo sulla popolarità di papa Bergoglio, che aveva suscitato qualche dubbio. Invece Lucchetti e il suo cast quasi interamente spagnolo-argentino sono riusciti a regalarci un film onesto e partecipato - né un santino sentimentale, né un film politico - che aiuta a "vedere" e conoscere il mondo di Jorge Mario Bergoglio.

Il film, "raccontato" come un flashback dal cardinale Bergoglio in attesa di iniziare il Conclave del 2013, segue la sua vita dalla giovinezza (bravo l’attore Rodrigo de la Serna). La vocazione, la famosa "fidanzatina", l'impegno politico dei suoi amici, l'ingresso nell’ordine dei Gesuiti, la guida come rettore del Collegio Maximo di Buenos Aires, la vicinanza ai confratelli impegnati nell'apostolato («il Vangelo tutto intero») a fianco dei più poveri. Il nucleo centrale si concentra negli anni drammatici della dittatura del generale Videla, nella seconda metà degli anni Settanta, colpevole di grandi crimini (i desaparecidos) e durante la quale anche molti sacerdoti, gesuiti in particolare, vennero uccisi dal regime. Il film non si addentra nei dettagli della vita ecclesiale di Bergoglio, che pure sono importanti: i dissidi interni all'ordine e alla gerarchia, la formazione sul campo di quella "teologia del popolo" che è stata la risposta sul campo alla Teologia della Liberazione ma anche al collateralismo della Chiesa col potere politico-economico. Lucchetti si limita a raccontare, con occhio laico eppure partecipe, i fatti. Compresa la devozione semplice, ma forte di Bergoglio per la "Madonna che scioglie i nodi", che aveva in realtà conosciuto quando era studente in Germania.

Il film ci fa vedere tutto questo, una buona scoperta. Si capisce anche perché Francesco non ha paura di camminare a piedi, in mezzo alla gente.

Chiamatemi Francesco - Il papa della gente di Daniele Lucchetti
con Rodrigo de la Sierna, Sergio Hernandez, Muriel Santa Ana
(Italia, Germania, Argentina), 2015